Cuba oggi: tra esodo epocale, crisi economica e nuova diplomazia
Un vento di cambiamento soffia sull’isola, tra esilio, Chiesa attiva e memoria di Castro
(Foto: un particolare de L'Avana, la capitale di Cuba)
L’esodo epocale: oltre 10 % della popolazione in fuga
Un milione di persone ha lasciato Cuba in meno di due anni. A dirlo non sono solo gli oppositori, ma i numeri ufficiali del governo. La popolazione residente è crollata da 11,18 milioni nel 2021 a circa 10 milioni nel 2023. Ma c’è di più: alcune fonti indipendenti indicano che i residenti reali sarebbero oggi poco più di 8,6 milioni. È una vera emorragia sociale, un tracollo demografico che l’isola non aveva mai conosciuto, nemmeno nei tempi bui del "Periodo especial" post-sovietico.
Chi fugge non è solo chi non ha nulla da perdere, ma anche chi ha ancora qualcosa da sperare. Giovani, famiglie intere, lavoratori qualificati. Le principali destinazioni? Stati Uniti, Nicaragua, Uruguay. Solo nel 2024, almeno 250.000 persone hanno lasciato il paese, mentre i dati sulla natalità raccontano un altro dramma: meno di 72.000 nati in un anno, il minimo storico dal 1959. La popolazione invecchia e si svuota.
Crisi economica, fame e blackout: i volti della disperazione
A Cuba oggi si sopravvive tra code infinite per il pane, blackout quotidiani e ospedali senza antibiotici. La crisi è strutturale: inflazione, salari che valgono meno del baratto, penuria cronica di beni essenziali. Le riforme economiche avviate nel 2021, come la “Tarea Ordenamiento”, hanno peggiorato la situazione.
Un reportage del The Times descrive una Cuba “famelica e in rovina”, in cui “uno su dieci è già fuggito” e i vecchi “crollano per la fame nelle strade dell’Avana”. Nell’oriente rurale la situazione è ancora più drammatica: mancano i fertilizzanti, i trasporti sono paralizzati e persino la scuola pubblica vacilla.
La protesta però cova ancora sotto la cenere. Dopo le grandi manifestazioni dell’11 luglio 2021, represse con centinaia di arresti, il dissenso si è fatto silenzioso ma non meno profondo. «Qui nessuno riesce più a vivere», ha detto un giovane emigrato che ha attraversato otto confini per raggiungere Houston.
Il governo accerchiato tra retorica e difficoltà
L’Assemblea Nazionale ha ammesso la crisi demografica, ma invece di affrontarla ha rinviato il censimento al 2025 e continua ad accusare l’embargo statunitense di essere la radice di ogni problema.
Il presidente Miguel Díaz-Canel ha dichiarato che “Cuba attraversa un momento molto difficile”, ma ha evitato qualsiasi autocritica. Ha parlato di “attacco sistematico all’identità nazionale” e di “guerra economica globale”, mantenendo inalterata la retorica della resistenza.
Intanto l’economia informale cresce: mercatini neri, valute parallele, commercio di rimesse. Chi riceve dollari dai parenti all’estero sopravvive, gli altri aspettano. E preparano la valigia.
La Chiesa cattolica, tra silenzio e diplomazia
In questo vuoto civile, la Chiesa cubana è tornata a farsi sentire. Dopo anni di prudente neutralità, i vescovi hanno chiesto un dialogo reale. Dal 2023 la diplomazia vaticana ha giocato un ruolo fondamentale nella mediazione tra Cuba, Stati Uniti e organizzazioni per i diritti umani.
Il Papa ha favorito un accordo storico per la liberazione di 553 prigionieri politici. In cambio, Washington ha tolto temporaneamente l’etichetta di “stato sponsor del terrorismo”.
Ma l’elezione di Donald Trump ha congelato tutto. Il nuovo presidente ha bloccato unilateralmente l’accordo, rimettendo Cuba nella lista nera.
I vescovi continuano a chiedere ascolto. «Il popolo soffre. Servono pane e libertà», ha dichiarato monsignor Emilio Aranguren, presidente della Conferenza Episcopale Cubana.
Il dissenso sociale: fame, protesta e solidarietà
La fame non si organizza, ma si diffonde. A Santiago, una rete clandestina di “cucine del popolo” ha preso il posto dei Comitati per la Difesa della Rivoluzione. A guidarla è José Daniel Ferrer, ex prigioniero politico: «Il regime distribuisce buoni pasto, ma non ascolta le richieste. Noi distribuiamo cibo e domande».
Il collettivo Movimiento San Isidro è tornato a pubblicare poesie clandestine e opere di denuncia. L’hashtag #CubaSeVa è diventato virale tra i giovani. Non è più solo uno slogan: è realtà.
E la rivoluzione?
La rivoluzione castrista compie 66 anni e non è mai sembrata così fragile. Raul Castro, 93 anni, è apparso accanto a Díaz-Canel il 1° maggio per “riaffermare l’identità socialista del Paese”. Ma la folla era ridotta, le parole ripetitive, la coreografia spenta.
Fidel Castro, morto nel 2016, viene ricordato nei discorsi ufficiali come “l’eterno comandante”, ma nelle strade il suo volto scolorisce. «Fidel era un gigante, ma il suo sogno è diventato un incubo», ha detto un ex funzionario oggi pensionato con 20 dollari al mese.
I giovani non credono più alla resistenza. Vogliono internet, libertà, stipendi dignitosi. E vogliono restare. Ma non ci riescono.
Il futuro: incerto, ma aperto
Cuba è un Paese fermo ma non immobile. La crisi è profonda, ma non terminale. La Chiesa, la diaspora e la società civile mantengono vivo un filo di speranza.
Se il regime saprà rinunciare al dogma e scegliere il cambiamento, l’isola potrà rinascere. Altrimenti, continuerà a svuotarsi. Fino a che della rivoluzione resterà solo un museo, e dei suoi figli, solo le foto su WhatsApp inviate da Miami.