La nube si è diradata. L’odore acre che ha avvolto per giorni il quadrante sud di Roma ha iniziato a dissolversi, ma non la paura, né le responsabilità. Dopo l’esplosione dello scorso fine settimana a via dei Gordani, a Roma, l’Arpa ha dichiarato il rientro dell’allarme diossina. I valori tornano sotto la soglia di pericolo. Ma l’aria resta satura di domande. E la magistratura si prepara a muovere i primi passi formali: sono attesi a breve i primi avvisi di garanzia, mentre gli inquirenti valutano l’ipotesi di reati ambientali.
Esplosione in via dei Gordani: Roma respira di nuovo, ma l’inchiesta si allarga
Il sindaco Roberto Gualtieri ha visitato la zona insieme al cardinale Enrico Reina, incontrando gli agenti rimasti feriti nell’esplosione. Un gesto istituzionale e simbolico, per una città che ha già conosciuto il trauma di incendi tossici e collassi ecologici. Ma Roma è stanca di parole di circostanza. Vuole sapere come sia stato possibile che, nel cuore della capitale, un impianto considerato a rischio potesse ancora operare con livelli di sicurezza così fragili.
Un sistema fragile, tra omissioni e ritardi
Le prime indagini parlano di negligenze nei protocolli interni. Un quadro ancora parziale, ma già sufficiente per accendere i riflettori su un settore – quello della gestione dei rifiuti urbani – da anni al centro di crisi cicliche e scandali sotterranei. L’esplosione, avvenuta mentre alcuni operai stavano compiendo operazioni di manutenzione, ha liberato nell’aria una quantità non trascurabile di agenti chimici, tra cui composti organici cancerogeni come le diossine.
Secondo i tecnici, la rapida dispersione è stata favorita dal vento e dall’umidità, ma in altri quartieri – in particolare Tor Marancia, Garbatella, San Paolo – le scuole sono rimaste chiuse per giorni e le famiglie hanno vissuto con le finestre sbarrate. L’Asl ha disposto misure preventive, i medici di base hanno segnalato un’impennata di casi respiratori tra bambini e anziani. È un disastro sfiorato, ma non per questo minore.
Dalle ceneri al processo: i magistrati al lavoro
Le ipotesi di reato si muovono lungo due direttrici: disastro colposo e lesioni. Ma tra i faldoni aperti in procura si valuta anche l’ipotesi di crimini ambientali, in base al decreto legislativo 152/2006. La pista seguita dagli investigatori è quella della mancata osservanza di norme di sicurezza, in un impianto che avrebbe dovuto essere monitorato più intensamente dopo le segnalazioni ricevute nei mesi scorsi.
I primi nomi finiranno presto sul registro degli indagati. Si tratterà, con ogni probabilità, di funzionari e dirigenti della società che gestiva l’impianto, ma non si esclude l’estensione delle responsabilità a livello politico-amministrativo. Anche perché l’esplosione non è che l’ultimo anello di una catena già lunga di allarmi ignorati.
Una città sospesa tra emergenza e rimozione
Roma vive una strana condizione: ogni disastro si sovrappone al precedente, e finisce per renderlo meno visibile. Dopo l’incendio di Malagrotta, dopo il crollo delle strutture in via Salaria, dopo i blackout estivi legati alla dispersione energetica, ora tocca alla diossina. Ma la memoria civile non tiene il passo. Ogni volta, dopo l’emergenza, la politica promette riforme, task force, piani straordinari. Poi tutto torna com’era.
I comitati dei cittadini parlano da anni di “abbandono programmato”, e non solo a livello ambientale. La percezione è quella di un’intera città che funziona in deroga. Dove la manutenzione è occasionale, il controllo intermittente, la responsabilità opaca. L’esplosione è stata un segnale, ma chi l’ha raccolto?
Papa Leone e la giustizia come ecologia umana
In questi giorni Papa Leone ha ricevuto una delegazione di parroci delle periferie romane. Non ha fatto esplicito riferimento al caso dell’esplosione, ma ha parlato della città come “luogo di giustizia o di ingiustizia”, definendo l’ecologia “un fatto umano prima che naturale”. Parole che si incrociano con le immagini dei palazzi grigi sotto la nube, con le mascherine distribuite nei mercati rionali, con le scuole chiuse senza spiegazioni chiare.
Nel silenzio istituzionale che spesso segue l’emergenza, la voce del nuovo Pontefice si staglia come un monito: il creato non è una questione tecnica, ma un riflesso dell’anima collettiva. E Roma, oggi, mostra ancora una volta quanto possa essere fragile un’anima se non è custodita.