Un monito ignorato: l’Europa di fronte alla resa dei conti
L’Europa è davanti a un bivio e il tempo per scegliere la strada giusta è agli sgoccioli. Mario Draghi, con il suo consueto pragmatismo, ha lanciato un allarme che suona come un’ultima chiamata per il Vecchio Continente: o l’Unione agisce come un unico Stato, oppure è destinata a essere travolta dalla competizione globale e dall’instabilità geopolitica.
Ma mentre l’ex presidente della Bce indica la rotta con chiarezza, le capitali europee sembrano prigioniere di giochi di potere interni e di calcoli elettorali, incapaci di cogliere la portata della sfida. I leader europei continuano a rifugiarsi nel piccolo cabotaggio politico, evitando le decisioni impopolari e lasciando che il tempo scorra, senza comprendere che il conto di questa inazione potrebbe essere altissimo.
“L’Europa sarà sola, serve un cambio di passo”
Nel suo intervento all’European Parliamentary Week, Draghi non ha usato mezzi termini. Ha parlato con la franchezza di chi ha già vissuto momenti critici e sa che l’esitazione può essere fatale. “Il tempo delle attese e dei veti è terminato. Non si può dire no a tutto, altrimenti bisogna ammettere che non siamo in grado di mantenere i valori fondamentali dell’Ue”, ha dichiarato l’ex premier italiano nel suo discorso all’Eurocamera.
La sua analisi è netta: l’Europa non può più permettersi il lusso dell’indecisione. Il mondo è cambiato e non tornerà mai più a essere quello di prima. L’Unione Europea deve imparare a difendersi da sola, a rafforzare la propria competitività e a rispondere con decisione alle sfide globali, dalla sicurezza alla transizione ecologica, dall’intelligenza artificiale alla difesa industriale.
Le dichiarazioni di Draghi delineano un futuro inquietante: un’Europa isolata, costretta a garantire da sola la propria sicurezza e quella dell’Ucraina, abbandonata dagli alleati storici e priva delle risorse necessarie per competere con le grandi potenze globali. “Dobbiamo abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali”, ha detto Draghi, sottolineando che la risposta deve essere “rapida, intensa e su vasta scala”.
Trump, la guerra e l’isolamento europeo
Il panorama internazionale si complica di giorno in giorno con i nuovi indirizzi della politica e della geopolitica (e geoeconomia) Usa. L’ex presidente americano ha già dimostrato di non credere nell’Alleanza Atlantica e di considerare l’Ue più come un rivale economico che come un partner strategico.
Non è un caso che Draghi abbia sottolineato questo rischio con toni perentori: l’Europa deve prepararsi all’eventualità di rimanere sola di fronte alle minacce globali.
Ma la sicurezza non è l’unico fronte su cui l’Ue rischia di essere tagliata fuori. Gli Stati Uniti, la Cina e altre grandi economie stanno investendo somme enormi in tecnologia, intelligenza artificiale e innovazione industriale. L’Europa, invece, continua a muoversi in ordine sparso, frammentata da interessi nazionali e da regole che impediscono una reale integrazione economica e finanziaria.
Un’Europa paralizzata dai veti incrociati
Il vero problema, secondo Draghi, è la paralisi decisionale dell’Ue. Ogni proposta di maggiore integrazione si scontra con i veti incrociati degli Stati membri, che difendono con ostinazione le proprie prerogative. Il risultato è un’Unione incapace di reagire con la rapidità necessaria alle sfide globali.
La Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, ha annunciato un pacchetto di misure per aumentare gli investimenti e sostenere la competitività. Ma queste iniziative restano lontane dall’ambizione richiesta da Draghi. Non prevedono il nodo cruciale: l’emissione di debito comune su larga scala.
“Dobbiamo agire come se fossimo un unico Stato”, ha affermato Draghi, consapevole che una vera integrazione richiederebbe un coordinamento senza precedenti tra governi nazionali, Commissione e Parlamento europeo. Ma questo coordinamento, al momento, appare come un’illusione lontana.
Il nodo degli investimenti: servono almeno 800 miliardi l’anno
Draghi ha stimato che per restare competitiva l’Europa dovrà investire tra i 750 e gli 800 miliardi di euro l’anno in innovazione, difesa, transizione ecologica e industria. Ma i numeri che circolano a Bruxelles sono ben diversi.