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La favola dei Cinque Stelle finisce in rissa

- di: Redazione
 
La favola dei Cinque Stelle finisce in rissa
In (quasi) tutte le favole che hanno accompagnato la nostra giovinezza, il tratto comune era il lieto fine, tra principesse che trovano l'amore, bambine disubbidienti che escono indenni da pericolosissime disavventure, adolescenti che trovano il modo di sfuggire alla cattiveria di matrigne e sorellastre.
Ma il mutare dei tempi ci ha abituato a finali diversi, quasi preparandoci, sin dalle prime battute di una favola, al disastro finale.
Come sta accadendo dentro i Cinque Stelle, dilaniati da una guerra fratricida, capeggiata, sui due fronti, dal fondatore e garante, Beppe Grillo, e dal presidente, Giuseppe Conte, che non si sono mai voluti realmente bene, pur se hanno percorso insieme un tratto importante della loro parabola politica.

La favola dei Cinque Stelle finisce in rissa

Ora, però, messo da parte il fioretto, Grillo ha impugnato a due mani lo spadone, per ribadire a Conte e al suo gruppo dirigente che i capisaldi del movimento sono tali perché intangibili, a dispetto del fatto che, quando furono scritti sulla pietra delle Tavole della legge pentastellata, nascevano in un contesto politico diverso.
Quello in cui i Cinque Stelle non avevano una classe politica e, per crearsene una, dovevano stravolgere le vecchie regole. A cominciare dal vincolo dei due mandati, oggi oggetto di una riflessione posto che il ricambio forzato (ovvero il divieto di ricandidarsi) ha privato i Cinque Stelle di esperienze e ''spendibilità'' che i nuovi arrivati devono costruirsi dal nulla.
Ma i recenti disastri elettorali del movimento (sceso sotto il 10% alle europee) hanno convinto Conte che bisogna cambiare registro, che il movimento deve non solo interrogarsi su cosa sia e su quali debbano essere i suoi obiettivi, ma soprattutto su quali siano i passi da fare.

Da qui la decisione di indire gli stati generali del movimento, affidando al confronto ed alla discussione il compito di porre le basi per il futuro.
Tutto normale, non considerano però l'anomalia della figura di Beppe Grillo, cui - oltre ad una prebenda da 300 mila euro all'anno per ''progetti comunicativi'' - è stato affidato il ruolo di garante, che gli consente di alzare il ditino per dire la sua. Come ha fatto ora, con parole e argomentazioni che non si prestano a molte interpretazioni. Perché dire, rivolto genericamente ai Cinque Stelle (come si dice? parlare a nuora perché suocera intenda?), Grillo chiede ''di ascoltare la vostra coscienza. In questo momento cruciale non possiamo permetterci di smarrire la nostra rotta. Custodiamo e proteggiamo ciò che abbiamo costruito insieme''.

Tanto per chiarire, da Grillo è arrivato un forte ammonimento a non toccare i capisaldi che mise alla base della nascita dei Cinque Stelle, dimenticando però che, per sua volontà, il movimento si è dato un primo ministro e quindi un presidente, incidentalmente nella stessa persona, Giuseppe Conte, che oggi a sottostare agli ultimatum del garante non ci pensa nemmeno.
Per il semplice motivo che, farlo, significherebbe certificare un ruolo che al comico nessuno dei pentastellati che contano accredita più.
Chi pensasse che, per il bene comune, Grillo possa accettare di fare un passetto indietro, di essere accomodante pur di evitare clamorose fratture, potrebbe restare deluso perché lui ha messo sul tavolo un altro argomento pesante, quello del simbolo che, dice e ribadisce, è suo e dell'associazione che lo ha fondato.

Potrebbe essere una questione di principio, ma è ben altro perché un conto è che gli stati generali del movimento scelgano di cambiare nome alla fine di un dibattito, un altro è vedersi privati del simbolo per effetto della decisione di un terzo, ovvero di un giudice chiamato a mettere ordine nella materia.
Poi, se il simbolo restasse a Grillo (cosa di cui lui si dice sicuro, allo stesso modo in cui Conte sostiene di avere ragione), lo scenario potrebbe essere apocalittico per il partito, destinato a spaccarsi, forse anche con una scissione, che sarebbe deleteria per tutti, oltre ad essere un confine oltrepassato il quale non si potrebbe tornare indietro.
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