Le parole non dette, alle Foibe fu pulizia etnica di stampo comunista
- di: Bruno Chiavazzo, giornalista e scrittore

Furono oltre 11mila gli italiani massacrati nei campi jugoslavi e buttati vivi, legati con fil di ferro, nelle foibe: le profonde cavità naturali carsiche nella Venezia Giulia (ex province di Trieste, Gorizia, Pola e Fiume). Autori del genocidio i “partigiani” comunisti del Maresciallo Tito.
Anche quest'anno, il 10 febbraio scorso, si è celebrato il Giorno del Ricordo e, anche stavolta, a sentire i commenti dei telegiornali e della cosiddetta stampa “mainstream”, non si è sentito il termine “strage comunista” per indicare gli autori di quel massacro. Si è parlato di generici “partigiani”, di “combattenti”, e gli italiani, cacciati a colpi di mitra, li hanno chiamati “esuli”. Come se avessero deciso da soli di lasciare le case dove erano nati e i loro beni, così, tanto per vedere com’era fatto il resto del mondo.
Qualche giorno prima, in occasione della Giornata della Memoria e dei campi di sterminio, gli aggettivi “nazisti”, “fascisti”, “massacratori”, “genocidi” giustamente si sprecavano, ma quando si è trattato di definire i comunisti jugoslavi, è scattato ancora una volta il riflesso condizionato del cane di Pavlov, che vale anche per il massacratore degli ucraini Vladimir Putin, ex comandante del KGB sovietico, definito il “presidente” o il “capo” del Cremlino, ma quasi mai “imperialista”, “stragista” o “terrorista”.
Eppure il Muro di Berlino è crollato nel 1989 e sotto le macerie è rimasto il comunismo con tutte le sue buone intenzioni. La segretaria del PD, Elly Schlein, ha diffuso una nota per “ricordare oggi il dolore di quel ricordo per costruire un presente e un futuro migliore”. Banalità adatte a qualsiasi cosa; nondimeno, si è guardata bene, lei, diretta discendente del PCI-PDS-DS, dal ricordare che per gli attivisti del PCI di allora i 300.000 profughi dalmati erano semplicemente “fascisti” e andavano alla Stazione Centrale di Milano per insultarli.
Come i ferrovieri comunisti della CGIL, che si rifiutavano di manovrare i treni che li portavano in Italia. Il termine "esilio", per decenni, è stato vietato nei dibattiti e nella stampa comunista. Per la verità anche la Democrazia Cristiana, che governava in quegli anni, non è che si battesse il petto. Gli istriani, infatti, ricordavano ai governi di allora l'umiliazione subita dall'Italia negli accordi di Osimo.
Ma i profughi italiani, perché erano italiani, appassionati di esserlo più dei comunisti e dei democristiani che li umiliavano, furono abbandonati al loro destino. Ignorati per decenni, e oggi ce ne si ricorda, appunto, una volta all'anno, come si fa per la Giornata del Lambrusco.
(Foto: foiba di Vines, recupero cadaveri)