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Francesco e Silvio B. come Fonzie: non riescono a dire "Putin"

- di: Redazione
 
Francesco e Silvio B. come Fonzie: non riescono a dire 'Putin'
A meno di non essere pazzi o appartenere alla ristretta conventicola dei mercanti d'armi, nessuno può dirsi a favore di una guerra. Nessuno, e crediamo che su questa linea ci siano anche gli ucraini che la guerra se la sono ritrovata in casa e la stanno combattendo per difendere il loro Paese e con esso una cultura millenaria, che solo dalle parti del Cremlino viene negata, con argomentazioni abbastanza spregiudicate e storicamente infondate.
Le guerre, anche quelle da operetta, hanno sempre un prezzo da pagare e non è detto che alla fine, quando le armi smettono di fare il loro tragico mestiere, la differenza tra vincitori e sconfitti sia così netta, soprattutto quando i confini della ragionevolezza e della verità sono labili, quando non addirittura cancellati.
Ci sono però dei fatti che spingono ad una analisi che deve essere forse non gradita, forse anche cinica, ma che diventa necessaria per la troppa evidenza delle stridenti differenze tra la realtà dei fatti e le posizioni che, davanti ad essa, si assumono, spesso in modo strumentale.
In questo, sorprendentemente, Papa Francesco e Silvo Berlusconi sono simili, non riuscendo proprio a coniugare esplicitamente, quando parlano della guerra in Ucraina, l'orrore che il conflitto sta provocando con il nome del presidente russo Vladimir Putin.

Papa Francesco e Berlusconi non hanno ancora condannato apertamente l'operato di Putin

Quasi che, il pontefice e colui che voleva farsi presidente della repubblica italiana, siano come il mitico Fonzie che non riusciva proprio a dire ''scusa'' oppure ''ho sbagliato''. Era più forte di lui, perché pronunciare le due formule avrebbe significato ammettere un fallimento.
Qui il caso è diverso, come le motivazioni che ci sono, probabilmente, per il blocco di linguaggio che impedisce a Francesco e a Silvio B. di dare un nome ed un cognome a chi è l'artefice dei massacri in Ucraina, di cui sono vittime migliaia di ragazzi russi mandati crudelmente al macello.
Se l'effetto è lo stesso, le cause sono ben diverse.

Francesco, da papa, ma anche da capo di uno Stato - particolare, ma pur sempre uno Stato - deve centellinare le parole, perché ogni sua espressione ha un'eco a dire poco vasta.
Quindi, menzionare Putin come primo responsabile di quanto accade ai confini orientali dell'Europa rischia di incrinare i rapporti delicati con un'autocrazia che ha trovato nella Chiesa di Mosca ben più che un sostenitore, ma un vero e proprio megafono delle pseudo-motivazioni messe alla base dell'invasione. Da sempre il Vaticano ha, con il patriarcato di Mosca, rapporti che oscillano tra l'apertamente conflittuale e la speranza di un appianamento dei contrasti, che sono teologici. In Russia, con la fine del comunismo e l'avvento di una nuova classe dominante, che mischia spregiudicatamente politica e religione per trarne da entrambe le occasioni di potere, Chiesa e Cremlino camminano a braccetto, sostenendosi a vicenda, anche quando si tratta di dare della realtà una visione distorta, a solo uso e consumo del presidente.

Per questo, facendo prevalere le ragioni della politica, Francesco condanna, ammonisce, stigmatizza, ma senza indicare, facendone il nome, chi è il vero responsabile. Per Silvio Berlusconi è completamente diverso, perché per lui è un fatto personale. Lui, di Putin, è stato amico. Di una amicizia, però, gridata, sbattuta in faccia agli altri, tra fotografie di due (presunti) gaudenti uniti dalla divertente contingenza delle occasioni mondane e da una visione celebratrice del potere.

Berlusconi, probabilmente, ha sempre visto in Putin un ''figlio'' del suo modo di vedere la politica, il cui fine ultimo è la costruzione di un modello perennemente autoreferenziale, in cui verità e bugie si mischiano così intimamente da rendersi inidentificabili. Di fronte al dramma dell'Ucraina, il leader di Forza Italia è davanti ad un bivio: continuare a tacere delle responsabilità personali oppure fare il grande passo di levare il dito contro il suo amico.

Un'alternativa non di poco conto perché se Matteo Salvini andava in Russia cercando un riconoscimento del suo spessore europeo (con mezzi e strumenti di cui tanto s'è parlato), Berlusconi ha usato il suo prestigio personale per fare sedere Putin al tavolo dei grandi. Dire che oggi lo zar è colpevole in grande parte dei massacri dei suoi soldati in Ucraina per Berlusconi sarebbe ammettere di avere portato Putin dove è oggi. E questo, forse, Berlusconi non riuscirà mai a farlo.
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