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Bill Gates: 200 miliardi per l’Africa, poi chiude la fondazione

- di: Marta Giannoni
 
Bill Gates: 200 miliardi per l’Africa, poi chiude la fondazione
Il fondatore di Microsoft annuncia l’addio entro il 2045: “Voglio restituire quasi tutto. Salute ed educazione sono la chiave della prosperità”.
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Un piano epocale per l’Africa, poi il silenzio
“Non voglio morire ricco. Voglio morire sapendo di aver fatto la mia parte”. Con queste parole, pronunciate ad Addis Abeba, Bill Gates ha ufficializzato il piano più ambizioso della sua vita: donare praticamente tutto – circa 200 miliardi di dollari – per sostenere salute, educazione e sviluppo umano in Africa. Lo farà entro il 2045, anno in cui la Bill & Melinda Gates Foundation chiuderà ufficialmente i battenti, dopo quasi mezzo secolo di attività.
Una scelta che ribalta le logiche classiche della filantropia: non più solo fondi distribuiti nel tempo, ma una scadenza precisa, un piano a termine, un obiettivo quantificabile. “Le fondazioni non dovrebbero diventare istituzioni eterne – ha spiegato Gates – ma strumenti per risolvere problemi. E poi sparire”.
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Dalla malaria all’istruzione: la road map della donazione
Il programma messo a punto dal team della Fondazione si concentrerà su tre grandi aree: l’eradicazione della malaria e di altre malattie infettive, l’accesso universale all’educazione primaria e secondaria di qualità, e la creazione di sistemi sanitari resilienti in almeno 30 Paesi africani.
La strategia sarà attuata in collaborazione con organizzazioni locali, centri di ricerca, Ong e governi africani. Gates ha dichiarato di voler privilegiare “i governi che mettono le persone al centro”, in riferimento implicito alle critiche mosse in passato a regimi poco trasparenti. “La collaborazione sarà la chiave – ha detto – e la trasparenza un prerequisito”.
Tra i primi partner ci sono già l’Unione Africana, l’African CDC, la Global Fund e il programma PEPFAR (il più grande progetto pubblico per la lotta all’HIV, promosso dagli Usa). A livello educativo, saranno coinvolte le principali università africane e una nuova rete di poli tecnici in collaborazione con istituti americani, europei e asiatici.
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La chiusura della fondazione: una data scolpita nella pietra
Il 31 dicembre 2045 la Gates Foundation sarà formalmente chiusa. “Non abbiamo bisogno di essere ricordati come una burocrazia ben finanziata, ma per i risultati ottenuti in un tempo definito”, ha affermato Gates. Un cambio di paradigma radicale rispetto a molte altre fondazioni filantropiche, spesso eterne e autoreferenziali.
Per garantire la massima efficacia, dal 2026 sarà operativo un comitato indipendente di monitoraggio, con l’incarico di valutare ogni sei mesi l’impatto dei progetti e correggere eventuali distorsioni. Il bilancio verrà pubblicato annualmente e le spese amministrative saranno limitate al 7% del totale.
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La gara silenziosa con Warren Buffett
L’unico a poter competere con Gates in termini di entità della donazione è Warren Buffett, il decano degli investitori americani. Buffett ha già donato oltre 50 miliardi di dollari alla Gates Foundation dal 2006 e ha promesso di devolvere il 99% della sua fortuna, oggi stimata da Forbes in circa 160 miliardi.
Tuttavia, mentre Gates ha imposto una scadenza e un piano definito, Buffett mantiene una strategia più flessibile. “Bill ha preso una decisione coraggiosa – ha commentato Buffett in una nota diffusa da Omaha – e lo ammiro profondamente. Non è mai stato uno che si accontenta”.
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Un’eredità più grande della tecnologia
Con questo gesto, Gates consolida un’eredità che va ben oltre Microsoft. In vent’anni, la sua fondazione ha contribuito a ridurre del 45% la mortalità infantile in Africa subsahariana, ha distribuito oltre 3 miliardi di vaccini e ha avviato 420 progetti di ricerca contro la malaria, il colera e la tubercolosi.
Nel solo 2024, la Gates Foundation ha speso oltre 7 miliardi di dollari in attività di cooperazione internazionale, diventando il secondo ente filantropico al mondo per capacità finanziaria dopo la Wellcome Trust. Ma con la nuova dotazione prevista, salirà nettamente in cima alla classifica.
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Critiche e scetticismi: troppe risorse in una sola mano?
Non mancano però le critiche. Alcuni economisti, come Dambisa Moyo e William Easterly, hanno messo in guardia contro i “rischi di concentrazione decisionale”. “Anche le buone intenzioni possono diventare paternalismo – ha osservato la Moyo – se ignorano i sistemi democratici locali”.
Altri temono che una mole così imponente di fondi possa alterare gli equilibri politici interni. “Chi gestisce 200 miliardi di dollari in un continente fragile ha un potere immenso, e deve rendere conto”, ha dichiarato l’attivista keniota Ory Okolloh su Al Jazeera Africa, chiedendo la creazione di una task force panafricana di controllo.
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Un futuro da visionario: tra pragmatismo e utopia
Gates non si è scomposto. “Il nostro compito – ha detto – è offrire strumenti, non imporre soluzioni. Le decisioni spetteranno sempre alle comunità locali. Ma dobbiamo fare in fretta: il futuro dell’umanità dipende anche da quanto sapremo fare ora, in Africa”.
Una visione che mette il continente africano al centro delle sfide globali per i prossimi vent’anni. E che, nel suo pragmatismo radicale, suona come un’eredità vivente. O come un ultimo progetto da ingegnere: risolvere il problema, chiudere il programma, spegnere il server.

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