Un titolo che fa tremare i palazzi della diplomazia: “La distruzione di Israele è l’unica soluzione”. A pronunciare parole tanto estreme è Kayhan, quotidiano che secondo l’opposizione iraniana all’estero è direttamente controllato dallo staff dell’ayatollah Ali Khamenei.
Il giornale di Khamenei invoca la distruzione di Israele, l’Iran si compatta attorno al regime
L’editoriale, pubblicato nelle stesse ore in cui si moltiplicano le notizie di attacchi incrociati tra Teheran e Tel Aviv, segna un cambio di tono definitivo e pericoloso nella retorica del regime. La narrazione secondo cui la guerra in corso non possa avere sbocchi diplomatici, ma debba risolversi con l’annientamento dell’avversario, alimenta un clima da resa dei conti totale.
Fine dei negoziati, parola d’ordine: guerra
Secondo quanto riportato da Iran International, sito vicino all’opposizione in esilio, l’editoriale respinge in blocco ogni ipotesi di cessate il fuoco. “La condizione per mettere fine alla guerra – si legge – non è un accordo né sono le pressioni politiche o una ritirata tattica. La fine della guerra richiede la completa distruzione d’Israele”. Parole che rimbombano nei corridoi delle ambasciate internazionali e che fotografano il momento in cui la linea oltranzista diventa egemone nel dibattito interno iraniano. Nessun compromesso, nessuna apertura: solo la guerra come unica via percorribile.
I riformisti si stringono al regime
A rendere ancora più drammatica la situazione è il fatto che anche le forze riformiste, tradizionalmente più moderate e inclini al dialogo, sembrano essersi allineate alla linea dura. Esponenti del cartello dell’opposizione legale vicini all’ex presidente Khatami, considerati finora voci critiche e interlocutori del mondo occidentale, hanno dichiarato che “l’Iran è sotto attacco e la priorità ora è la difesa della patria da Israele”. Una presa di posizione che segna una saldatura tra le diverse anime politiche del Paese, nel nome di una mobilitazione patriottica contro il nemico comune.
Il linguaggio dell’annientamento
L’utilizzo di un linguaggio bellico così esplicito, che parla apertamente di distruzione e non più di resistenza o difesa, indica una mutazione nel lessico ufficiale del regime. Non si tratta solo di propaganda, ma di una narrazione che rischia di tradursi in strategia militare, con conseguenze imprevedibili. Israele è descritto come un’entità non legittima, da cancellare, in una retorica che richiama quella delle guerre totali del Novecento. L’assenza di qualunque riferimento al diritto internazionale o alla diplomazia mostra quanto la crisi abbia travolto ogni tentativo di mediazione.
Un Paese in stato di emergenza ideologica
La pubblicazione di Kayhan avviene in un contesto di crescente mobilitazione interna. La popolazione iraniana, pur divisa su molte questioni, sembra accettare il richiamo all’unità patriottica. Le televisioni trasmettono continuamente immagini di martiri e funerali di comandanti militari, mentre i giornali amplificano il messaggio dell’aggressione esterna come minaccia esistenziale. È una strategia di coesione attraverso il nemico, in cui il regime cerca di compattare il fronte interno sfruttando l’onda dell’indignazione e del lutto.
Diplomazie nel gelo, l’Occidente senza sponde
Nella comunità internazionale cresce lo sconcerto, ma mancano reazioni ufficiali. La radicalizzazione del linguaggio iraniano rende sempre più difficile un’azione diplomatica concreta. Anche perché, con la rottura dei colloqui e l’abbandono del G7 da parte di Trump, le potenze occidentali appaiono disorientate e senza una strategia unitaria. Nessun paese ha per ora richiamato gli ambasciatori né convocato urgentemente organismi multilaterali. La minaccia esplicita lanciata da uno dei media più influenti di Teheran lascia quindi il mondo in uno stato di pericolosa attesa, con la retorica della distruzione che rischia di trasformarsi in azione.