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La Giornata della Donna celebra, purtroppo, una rivoluzione incompiuta

- di: Germana Loizzi
 
La Giornata della Donna celebra, purtroppo, una rivoluzione incompiuta
Nella foto, Marisa Bellisario

Anche oggi celebriamo un rito che, duole dirlo, mostra i segni del tempo. Non che le problematiche alla base della Giornata della Donna siano state risolte. Tutto il contrario, perché la condizione femminile resta complessa soprattutto sul fronte del lavoro dipendente, dove troppe sono le disparità irrisolte (in termini salariali e di possibilità di affermazione professionale). A certificare questa situazione ci sono numeri, statistiche, evidenze - a cominciare dalle disparità retributive - che però non aiutano a trovare soluzioni che siano realmente tali. Peraltro, intorno a questa condizione, c'è una narrazione che cerca di riportare tutto a stereotipi datati che cozzano contro la capacità delle donne di condurre a compimento il lungo processo di emancipazione, cominciato non ieri o l'altro ieri, ma già nell'800 dove, per paradossale che possa apparire, il cammino era sì più arduo, ma aveva più ampi margini per avere un esito positivo.

La Giornata della Donna celebra, purtroppo, una rivoluzione incompiuta

E' doloroso dirlo, ma è proprio oggi che la rivoluzione femminile appare imperfetta perché, a fronte di maggiori possibilità, resta un processo incompiuto, dove a fare da elemento frenante non sono presunte difficoltà personali delle donne nel salire nella scala sociale, ma il clima generale, la considerazione illogica che alcuni incarichi, alcune poltrone siano di esclusiva pertinenza degli uomini.
Ma..
Già ci sono dei ''ma'' che sono sorprendenti perché la corsa delle donne verso la vetta ha avuto successo nella politica (Giorgia Meloni, ma prima di lei molte altre, pur se non sedendo a Palazzo Chigi da presidente del consiglio), così come nelle Istituzioni. E' cominciata nei decenni passati senza che nessuno (fatta qualche rara eccezione, motivata da becere posizioni politiche) abbia avuto da ridire. Anzi, l'equilibrio delle donne è garanzia per tutti.

Eppure resta a galleggiare su di noi la sensazione che l'ultimo passo si debba ancora fare nel campo della finanza, delle attività legate all'economia. Non che non ci siano donne in posti di responsabilità (e con risultati eccellenti), ma non in quelli che le mettano al centro dei riflettori. Appena ieri Giorgia Meloni ha detto che ''la sfida è quando avremo il primo Amministratore delegato di una società partecipata statale donna, è uno degli obiettivi che mi do''.
Una frase forte, di quelle che danno i titoli ai giornali, ma che, e lo dico col massimo rispetto, mi sarei aspettata formulata in modo diverso dal presidente del consiglio, proprio perché se c'è qualcuno che ha voce (la più forte) in capitolo sulle nomine è proprio lei, Giorgia Meloni, che ha indipendenza di giudizio, forza politica, autorevolezza, per rompere questo circuito perverso in cui si ritiene che alcune poltrone possano essere solo per uomini.

Qui non è questione di ''quote rosa'' (un principio che personalmente ho sempre avversato, perché sembra volere fare uscire le donne da un recinto non per le loro capacità, ma per un'alchimia di genere), ma solo di riconoscere capacità che, se valgono per il settore privato - l'elenco delle ''capitane d'industria'' è ormai parecchio lungo -, non si capisce perché non possano emergere anche nel pubblico.

Anche perché non è che i vertici delle partecipate al maschile siano totale garanzia di buoni risultati. Certo, chiediamo a Giorgia Meloni un atto di coraggio perché dovrà vincere le resistenze di molti. Come avrebbe detto il rabbino Hillel il Vecchio e, in tempi più recenti, Primo Levi, ''se non ora, quando?''.
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