Giustizia: anche Schettino lamenta la pressione mediatica, ma Strasburgo lo boccia

- di: Redazione
 
Anche spogliandosi per un istante (solo uno, perché la ragione non consentirebbe di andare oltre) della rabbia e dello sdegno che la tragedia della Costa Concordia, davanti all'isola del Giglio, del dicembre del 2021, ingenera ancora oggi, si potrebbe essere d'accordo con la Corte europea dei diritti dell'Uomo che ha confermato la correttezza dei vari processi a conclusione dei quali Francesco Schettino è stato condannato a sedici anni di reclusione.

Strasburgo conferma la correttezza dei processi che hanno condannato Francesco Schettino

In sostanza, l'organismo europeo ha detto che non ci sono state violazioni dei diritti dell'imputato e che quindi non ci sono elementi per inficiarne la condanna. Questa la cronaca di oggi, che però non può esimerci dal dire la nostra non tanto sulle motivazioni che hanno indotto i difensori di Schettino a tentare la carta della Corte europea dei diritti dell'Uomo, quanto sull'ormai scontato ricorso a quest'ultima istanza, cui molti imputati - non solo italiani, ma è di essi che dobbiamo parlare - si rivolgono nella convinzione o solo nella speranza che da Strasburgo le sentenze dei giudici vengano rimesse in discussione per palesi violazioni dei diritti dell'imputato.

Nel caso di specie, i difensori di Schettino (con un ricorso presentato nel marzo del 2018 e che riguardava la sentenza della Cassazione, che confermava la condanna di secondo grado) hanno sostenuto che l'intero processo era caratterizzato da ''sintomi di iniquità'' e in ogni caso che sia stato condizionato dalla pressione dell'opinione pubblica, soprattutto in occasione del processo di primo grado, quando ancora il ricordo del naufragio della Costa Concordia e della morte di 32 persone - a decine rimasero ferite - era molto vivo, anche per la copertura mediatica che la tragedia ebbe, in tutto il mondo e non solo in Italia. Senza citare gli enormi danni causati all'ambiente.

Per completezza, bisogna ricordare che il principale capo di imputazione contestato a Schettino è stato quello di omicidio colposo, insieme a quelle di lesioni, naufragio, abbandono della nave (chi mai dimenticherà quel ''torni subito a bordo, cazzo'', urlato dal comandante De Falco, della capitaneria di porto di Livorno?), mancate comunicazioni alle autorità.

Se una delle motivazioni del ricorso è squisitamente tecnica (l’assegnazione del giudizio dei secondo grado ad una specifica sezione della Corte,derogando, secondo la difesa, al principio costituzionale del giudice naturale precostituito), l'altra, legata alla troppo evidente e quindi condizionante pressione mediatica, merita una riflessione perché ormai sembra essere la scorciatoia che in tutti i processi di grande risalto viene annunciata dai difensori un istante dopo la lettura della sentenza di condanna.

Di processi mediatici ormai si parla in ogni occasione, spesso anche a sproposito o, peggio, mettendo in dubbio la terzietà del collegio giudicante o ignorando il dolore delle vittime.
È accaduto nel caso di Francesco Schettino, dicono i suoi difensori, come se un processo come quello all'ex comandante della Costa Concordia, potesse essere celebrato in sordina. Anche perché Schettino fece ritorno sulla sua nave che stava affondando solo perché gli fu ordinato, violando il principio della marineria di tutto il mondo, e che tutti conoscono, sul fatto che è proprio chi ha il comando a scendere per ultimo. Un atto che mosse a sdegno e ripulsa in tutto il mondo, certo di più che le tante circostanze che determinarono la tragedia.

Come si mai si può pensare che un processo del genere, per modalità, bilancio delle vittime e comportamenti attribuiti allo stesso Schettino, potesse passare nel silenzio o nel disinteresse?
Come si può solo ipotizzare che il processo, con le drammatiche testimonianze, accanto alle ''spiegazioni'' dell'imputato e alle decine di parti civili e testimoni, potesse essere ignorato? O si pretende, oggi per ieri, che il procedimento fosse ''silenziato'', magari celebrato in un tribunale di montagna, lontano dall'attenzione nazionale, che effettivamente fu al limite del morboso?
Quello dell'attenzione spasmodica per il processo, che ne avrebbe condizionato celebrazione ed esito, è la stessa tesi sostenuta dai due fratelli Bianchi, condannati pochi giorni fa all'ergastolo per avere ucciso a calci e pugni il giovane Willy Duarte. Il loro avvocato ha sostenuto questa tesi e la stessa cosa ha detto la madre dei due imputati. Ma se nel caso della madre di Marco e Gabriele Bianchi l'affermazione è figlia della disperazione, quella del legale sembra essere una piccolissima fessura nel quale infilarsi in previsione del processo di secondo grado, in cui la tesi della preterintenzionalità dell'evento potrebbe anche essere maggiormente valutata.
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