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Golden power, l’Ue valuta l’infrazione: Roma cerca il compromesso

- di: Bruno Legni
 
Golden power, l’Ue valuta l’infrazione: Roma cerca il compromesso
Golden power, Bruxelles stringe su Unicredit ma lascia uno spiraglio
La Commissione europea valuta l'infrazione contro l'Italia sul caso Unicredit-Banco Bpm, ma il rinvio del dossier e i contatti con Roma indicano che una soluzione politica è ancora possibile, mentre i mercati guardano al rischio di uno scontro frontale fra governo e Ue.
 
(Foto: la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen).

Bruxelles ha già pronto il nuovo pacchetto mensile di procedure di infrazione, ma su un punto il dossier resta ancora aperto: la contestata applicazione del golden power italiano all’operazione Unicredit-Banco Bpm. Il decreto che ha messo sotto tutela politica la maxi-aggregazione bancaria è in vigore, l’Ops è stata ritirata, i rilievi giuridici di Bruxelles non sono rientrati. E tuttavia, nelle ultime ore, è comparso un segnale in controtendenza: il pacchetto infrazioni, che di norma viene comunicato il giovedì, è stato spostato in modo inusuale al venerdì, segno che in Commissione si continua a limare il testo e a misurare le mosse con il bilancino della politica.

Per Roma, che negli ultimi mesi ha rivendicato il ricorso ai poteri speciali come strumento di tutela dell’“interesse nazionale”, il caso Unicredit-Banco Bpm rischia di trasformarsi in un precedente pericoloso: non più solo una disputa tecnica su un decreto, ma il banco di prova di quanto spazio di manovra resti ai governi nazionali nel settore bancario, tradizionalmente presidiato dalla Banca centrale europea e dal diritto dell’Unione.

Un pacchetto di infrazioni con un punto interrogativo

Ogni mese la Commissione europea aggiorna l’elenco delle procedure d’infrazione contro gli Stati membri che, a giudizio di Bruxelles, hanno violato o disapplicato il diritto Ue. Di regola l’elenco viene reso pubblico in modo abbastanza routinario. Questa volta, invece, la scelta di rinviare di un giorno la comunicazione ha acceso più di un radar nelle capitali. In mezzo al pacchetto, infatti, potrebbe trovare posto il fascicolo dedicato al Dpcm che ha disciplinato il progetto di fusione Unicredit-Banco Bpm.

Il paradosso è che l’operazione industriale non c’è più: dopo mesi di incertezza e di scontro a distanza con il governo e con la stessa Banco Bpm, Unicredit ha ritirato l’offerta, spiegando che la permanenza del decreto e delle sue condizioni rendevano impossibile procedere in tempi ragionevoli. Ma per la Commissione non è l’operazione in sé il punto, bensì la norma italiana che consente al governo di intervenire sulle scelte di un grande gruppo bancario già vigilato dalla Bce, introducendo – secondo i rilievi giuridici emersi a Bruxelles – un potenziale conflitto con le competenze esclusive dell’Eurotower.

Il fascicolo aperto nelle strutture della Commissione non è più nelle mani della Direzione generale Concorrenza, che aveva esaminato l’operazione in quanto tale, bensì della Direzione generale che si occupa di stabilità finanziaria e servizi bancari. È qui che si valuta se avviare una vera e propria procedura d’infrazione contro l’Italia, con l’invio di una lettera di costituzione in mora che aprirebbe un contenzioso destinato a durare mesi, se non anni.

Il ruolo di Tajani e la linea del governo

Il fronte politico italiano si muove su un crinale sottile: difendere la sovranità decisionale del Paese senza spingere Bruxelles a un atto formale. Nelle ultime ore, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha fatto trapelare la volontà di trovare una soluzione di compromesso. A margine di una riunione dei ministri Ue, il leader di Forza Italia ha spiegato che l’obiettivo del governo è “risolvere il dossier in modo da evitare una procedura formale e arrivare a una soluzione positiva con il dialogo e il confronto con la Commissione”, sottolineando che una rottura aperta con Bruxelles in materia bancaria non è nell’interesse del sistema Italia.

Il messaggio non è casuale. Tajani, da tempo, sostiene che la disciplina sul golden power vada applicata nel pieno rispetto delle regole europee, specialmente quando si parla di banche di rilevanza sistemica. È una posizione sensibilmente diversa da quella di chi, all’interno della maggioranza, ha utilizzato il caso Unicredit-Banco Bpm come simbolo di un’Italia che “non si fa dettare la linea” da Francoforte o da Bruxelles.

La premier Giorgia Meloni si trova così stretta tra due esigenze: da un lato preservare la narrazione sovranista costruita sul rafforzamento dei poteri speciali, dall’altro evitare che il Paese finisca formalmente sul banco degli imputati Ue proprio su un terreno – quello del credito – dove l’Italia ha bisogno di mercati aperti e di un dialogo fluido con la Bce e con la Commissione.

La prudenza della Commissione e il nodo Albuquerque

Dall’altra parte della barricata, la Commissione mantiene una linea di estrema cautela nella comunicazione pubblica. Alla domanda se il caso Unicredit-Banco Bpm sarà inserito già questa settimana nel pacchetto d’infrazioni, la commissaria responsabile per i servizi finanziari si è limitata a ribadire che l’esecutivo comunitario non entra mai nel merito di decisioni non ancora formalmente adottate. “Non anticipiamo decisioni che non sono ancora state adottate”, ha scandito davanti ai giornalisti, rimandando ogni dettaglio all’annuncio ufficiale.

Dietro le formule di rito, però, si legge una scelta politica precisa: lasciare aperto un margine di manovra fino all’ultimo minuto utile, mentre proseguono i contatti tecnici con Roma per capire se il governo sia disposto a modificare il Dpcm o a circoscriverne gli effetti. Se il dialogo dovesse produrre risultati concreti, Bruxelles potrebbe optare per un’arma più morbida: una raccomandazione specifica sul quadro normativo italiano da inserire nel capitolo dedicato all’Italia nel pacchetto d’autunno del semestre europeo, in arrivo nei prossimi giorni.

In questo scenario, l’eventuale apertura della procedura d’infrazione verrebbe rinviata, ma non cancellata. Resterebbe sul tavolo come minaccia credibile nel caso in cui il governo decidesse di non intervenire sul decreto o di replicarne la logica in altre operazioni bancarie.

Perché Bruxelles guarda al decreto, non solo alla banca

Per capire perché il dossier è così sensibile bisogna tornare all’essenza del golden power. Nato nel 2012 come strumento di difesa in settori strategici come difesa, energia, trasporti e comunicazioni, negli anni il perimetro di applicazione è stato progressivamente allargato, anche in risposta alla pandemia e alle tensioni geopolitiche. Negli ultimi anni il governo ha iniziato a usarlo in modo più incisivo anche nel settore finanziario, con l’obiettivo dichiarato di evitare concentrazioni eccessive e rischi per la stabilità nazionale.

Nel caso Unicredit-Banco Bpm, però, Bruxelles vede in gioco molto di più di una singola fusione. Il decreto non si limita a autorizzare o bloccare un’operazione, ma introduce una serie di condizioni specifiche sulle strategie della banca risultante: tempi e modalità di uscita dai mercati esteri più sensibili, vincoli su rapporti tra impieghi e raccolta, indicazioni su portafogli e linee di credito da mantenere o dismettere. Un insieme di prescrizioni che, secondo le strutture giuridiche della Commissione, rischia di sovrapporsi alle competenze della Bce sulla vigilanza prudenziale, che ha già espresso valutazioni sull’operazione.

In altre parole, la partita non è più solo se Roma possa o meno “difendere” un proprio campione nazionale, ma fino a che punto possa entrare nel dettaglio delle politiche industriali e di rischio di una banca sistemica che opera nell’area euro. È qui che la Commissione teme una possibile frattura con i principi fondamentali del mercato interno e con il ruolo delle autorità europee di vigilanza.

I nervi scoperti tra Italia, Bce e Commissione

La vicenda Unicredit-Banco Bpm arriva in un momento in cui il rapporto tra l’Italia e le istituzioni europee sul fronte bancario è già teso. Da un lato, la European Central Bank e le autorità europee spingono da anni per un consolidamento del settore, considerato necessario per creare gruppi più solidi in grado di competere a livello continentale. Dall’altro, la politica italiana teme che grandi fusioni possano ridurre la “pluralità bancaria” e indebolire il legame tra credito e territori, soprattutto nelle aree produttive più fragili.

Non è un caso se, in più occasioni, il mondo della vigilanza e quello della politica si siano scambiati messaggi incrociati: da una parte si chiede di non ostacolare operazioni ritenute utili alla stabilità del sistema, dall’altra si rivendica il diritto di evitare concentrazioni giudicate eccessive o di condizionare operazioni che coinvolgono attivi strategici. Il golden power, in questa prospettiva, è diventato lo strumento perfetto per far valere le ragioni nazionali in uno spazio – quello bancario – che sulla carta è già fortemente europeizzato.

La Commissione, tuttavia, teme che un uso troppo estensivo di questi poteri possa creare un precedente imitabile da altri governi, con il rischio di una corsa alla protezione “patriottica” delle proprie banche. Se ogni Stato potesse riscrivere le regole del gioco per le operazioni che coinvolgono i propri istituti, l’idea stessa di un mercato bancario unico perderebbe forza, con effetti immediati sulla fiducia degli investitori e sulla capacità delle banche europee di crescere per linee esterne.

Il bivio per l'Italia: correggere la norma o sfidare Bruxelles

Il rinvio della decisione sul pacchetto infrazioni apre dunque un bivio politico per Roma. Da un lato c’è la strada del dialogo: intervenire sul Dpcm, chiarendo limiti e condizioni del golden power nel settore bancario, magari prevedendo che ogni futura applicazione sia calibrata in stretta cooperazione con la Bce e con le autorità europee. In questo scenario, la Commissione potrebbe accontentarsi di una raccomandazione formale, segnalando la necessità di aggiustamenti ma evitando il contenzioso pieno.

Dall’altro lato c’è la scelta del braccio di ferro: difendere il decreto così com’è, presentandolo come strumento irrinunciabile per proteggere la stabilità del sistema e la sovranità economica del Paese. Una strada che, però, comporterebbe quasi automaticamente l’avvio di una procedura d’infrazione, con i suoi passaggi tecnici, le memorie difensive, la possibilità finale di un ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea e l’ombra di possibili sanzioni economiche.

In mezzo c’è il giudizio dei mercati. Dopo mesi di volatilità sui titoli bancari legata all’incertezza sull’operazione e ai segnali contrastanti tra governo e autorità europee, investitori e analisti guardano soprattutto a un punto: se l’Italia deciderà di collocarsi nel solco di un quadro europeo prevedibile oppure preferirà tenere aperta la porta a un uso discrezionale e fortemente politico del golden power anche in futuro.

Per ora, la scelta di rinviare di un giorno l’annuncio del pacchetto infrazioni dice che a Bruxelles nessuno ha ancora chiuso la porta. Ma il tempo delle ambiguità creative sul golden power è finito: il caso Unicredit-Banco Bpm ha trasformato un decreto nazionale in un test sulla tenuta dell’architettura bancaria europea. Spetta al governo decidere se trasformarlo in uno scontro di principio o in un’occasione per riscrivere regole più chiare, prima che lo faccia la Corte di giustizia.

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