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Russia e Ucraina pronte a incontrarsi in Vaticano a giugno

- di: Jole Rosati
 
Russia e Ucraina pronte a incontrarsi in Vaticano a giugno

Vertice a metà mese con la mediazione del Papa e una delegazione Usa guidata da Rubio. Apertura di Mosca, Kiev rilancia sul ritiro russo.

Il Vaticano prepara la scena per un negoziato ad alta tensione
A quasi due anni e mezzo dall’invasione dell’Ucraina, la guerra più devastante in Europa dalla Seconda guerra mondiale potrebbe conoscere a metà giugno un momento cruciale. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, il Vaticano ospiterà un nuovo vertice diplomatico fra Russia e Ucraina. Non un semplice incontro esplorativo, ma un vero tavolo di trattativa a cui parteciperanno anche gli Stati Uniti, per la prima volta in forma ufficiale dall’elezione di Donald Trump al secondo mandato.
La notizia, confermata da fonti diplomatiche citate dal quotidiano statunitense, riporta che la delegazione americana sarà guidata dal Segretario di Stato ad interim Marco Rubio e dal consigliere per la sicurezza nazionale Keith Kellogg, già inviato speciale per l’Ucraina. Una presenza che indica la volontà della Casa Bianca di mettere la propria firma su un possibile nuovo processo negoziale, anche se con forti limiti e condizioni.

Il Papa americano e la svolta della diplomazia vaticana
Non è un caso che il summit si tenga proprio nella Città del Vaticano. Il neoletto Papa Leone XIV – primo pontefice statunitense della storia – ha fin dall’inizio del suo pontificato assunto un ruolo attivo nella diplomazia di pace. A meno di tre mesi dalla sua elezione, ha già incontrato il vicepresidente americano JD Vance e poi lo stesso Rubio. In entrambe le occasioni ha ribadito “la disponibilità della Santa Sede a fare da ponte in ogni sforzo sincero per fermare la guerra”, secondo quanto riferito da fonti vaticane al Washington Post.
Non è solo un impegno morale. Con un crescente isolamento diplomatico europeo e il congelamento di ogni dialogo diretto tra le cancellerie occidentali e Mosca, il Vaticano – privo di interessi strategici e militari – rappresenta per molti l’unica sede ancora credibile per un confronto multilaterale.

Il disincanto di Zelensky, le mosse ambigue di Mosca
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, pur con scetticismo, ha accolto con favore l’apertura vaticana. Fonti di Kyiv citate da The Guardian parlano di “un’occasione da non perdere”, ma ribadiscono che “senza il ritiro totale delle truppe russe e il rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina, non ci sarà alcun accordo”.
Dall’altra parte, il Cremlino mantiene una posizione ambigua. Il portavoce Dmitry Peskov non ha smentito l’ipotesi dell’incontro in Vaticano, definendolo “un formato interessante” durante un briefing con i giornalisti. Ma fonti interne al Ministero degli Esteri russo – riportate dall’agenzia TASS – parlano di una partecipazione “condizionata al riconoscimento della nuova realtà territoriale”, ovvero all’annessione di Crimea e parte del Donbass.

La chiamata (deludente) tra Trump e Putin
Il possibile sblocco del negoziato ha avuto origine da una telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin il 17 maggio, organizzata con la mediazione del premier ungherese Viktor Orbán. Durante la conversazione, secondo quanto riportato da The Wall Street Journal, il leader russo avrebbe manifestato la volontà di “proseguire il confronto”, ma solo su basi nuove e senza “pressioni militari o giudiziarie”.
Trump, che si trova sempre più sotto pressione anche negli Stati Uniti per l’isolamento internazionale del Paese e le tensioni con l’Europa, avrebbe colto l’occasione per proporre un ritorno al tavolo dei negoziati in sede neutrale. Il Vaticano, suggerito da Kellogg, è stato accettato come punto di compromesso. “La pace è possibile – ha dichiarato Rubio in una breve nota – se tutte le parti sono disposte a fare concessioni. Noi ci saremo”.

Le ombre di una guerra congelata
Nessuno, al momento, si aspetta miracoli. I precedenti incontri diretti – da Istanbul a Minsk – si sono sempre conclusi con un nulla di fatto. Lo stesso summit in Turchia dello scorso aprile è stato boicottato da Mosca con una delegazione tecnica priva di potere decisionale. Kyiv, dal canto suo, ha sempre insistito sulla linea della resistenza totale, rifiutando ogni proposta che possa apparire come una resa territoriale.
Ma lo scenario è cambiato. Il sostegno occidentale all’Ucraina si sta lentamente sfilacciando. Gli aiuti militari degli Stati Uniti sono stati ridotti, la Nato ha assunto un profilo più prudente, e l’Europa – pur continuando a sostenere Kyiv – guarda con crescente preoccupazione ai rischi di escalation. In questo contesto, il Vaticano può rappresentare una valvola di sfogo: non per risolvere subito la guerra, ma per costruire un percorso, una road map condivisa.

I bambini deportati, dossier esplosivo per i negoziati
Uno dei temi che la delegazione americana intende porre con forza al centro del summit è il destino dei minori ucraini deportati in Russia. Keith Kellogg, parlando a un forum sulla sicurezza a Monaco, ha dichiarato: “Il ritorno dei bambini deve essere un punto non negoziabile. È una questione di diritti umani, non di geopolitica”.
Secondo i dati dell’ONU, sono oltre 19.000 i minori ucraini portati in Russia o in territori occupati. Solo un terzo di loro è stato finora tracciato. Il Vaticano, attraverso i canali della diplomazia vaticana e la Comunità di Sant’Egidio, ha già facilitato il ritorno di alcuni gruppi, ma la portata del fenomeno richiede un intervento diretto delle autorità russe.

Una finestra stretta, ma possibile
Il vertice in Vaticano rappresenta una delle poche opportunità concrete emerse negli ultimi mesi. Il suo successo dipenderà da una fitta rete di condizioni: la reale disponibilità delle parti a scendere a compromessi, la capacità della Santa Sede di gestire il dialogo evitando fughe in avanti, il ruolo degli Stati Uniti come garanti e non protagonisti, e soprattutto la tenuta politica dei rispettivi leader.
Per Papa Leone XIV si tratta di un banco di prova che potrebbe ridefinire il ruolo geopolitico della Chiesa cattolica. Per Trump, è un’occasione per recuperare una minima credibilità internazionale dopo mesi di caos diplomatico. Per Putin, la possibilità di uscire dal conflitto senza dichiarare una sconfitta. Per Zelensky, il dilemma tra la pace imperfetta e la resistenza ad oltranza.
La strada è ancora lunga, ma da Roma potrebbe partire – o fallire – il primo passo verso la fine di una guerra che ha già fatto oltre mezzo milione di vittime e ridisegnato l’equilibrio del mondo.


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