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IA, dal meteo alle classi: impatto concreto

- di: Jole Rosati
 
IA, dal meteo alle classi: impatto concreto
IA, dal meteo alle classi: impatto concreto
Dai laboratori ai banchi di scuola, l’intelligenza artificiale smette di essere solo teoria.

A Varsavia, in una conferenza organizzata da Google Research, l’intelligenza artificiale non è stata raccontata come un esperimento da laboratorio, ma come una tecnologia che sta già cambiando il modo in cui prevediamo il meteo, facciamo ricerca scientifica e insegniamo a scuola. Sul palco, il vicepresidente di Google, Yossi Matias, ha sintetizzato così il momento che stiamo vivendo: “Abbiamo una responsabilità nel modo in cui questa tecnologia prende forma”, ha sottolineato Matias, richiamando l’attenzione sui rischi di un uso incontrollato e sulla necessità di regole chiare.

L’idea di fondo è semplice ma dirompente: l’IA non è più un tema astratto, ma una serie di strumenti che, se progettati in modo responsabile, potranno incidere concretamente sulla sicurezza delle comunità, sulla velocità delle scoperte scientifiche e su come imparano bambini e ragazzi. Se invece sarà gestita male, aumenterà disuguaglianze, disinformazione e vulnerabilità.

Meteo estremo e clima: cosa promette Earth AI

Uno dei fronti più maturi è quello della meteorologia e della gestione dei rischi climatici. I nuovi modelli della famiglia Earth AI combinano dati meteo, immagini satellitari, informazioni geologiche e dati demografici per rispondere a domande molto concrete: quali quartieri rischiano di finire sott’acqua in caso di piena? Quanto è vulnerabile una certa infrastruttura a una tempesta estrema?

Non si tratta solo di previsioni del tempo più precise: l’obiettivo è costruire una sorta di “gemello digitale” del pianeta, capace di aiutare amministrazioni, protezione civile e cittadini a prendere decisioni rapide in caso di emergenza. In alcuni paesi, sistemi di previsione delle inondazioni basati su IA sono già in uso per avvisare con ore o giorni di anticipo le comunità lungo i grandi fiumi, riducendo potenzialmente vittime e danni economici.

Anche il clima di lungo periodo entra in gioco: l’incrocio tra dati storici, simulazioni e modelli di IA permette di individuare aree dove la combinazione tra urbanizzazione, deforestazione e eventi meteo estremi potrebbe diventare esplosiva. In questo quadro, Earth AI e i modelli di previsione meteo basati su apprendimento automatico promettono di superare per velocità molti sistemi tradizionali, aprendo la strada a una gestione più proattiva del rischio.

Il “co-scientist”: l’IA che entra nei laboratori

Se fuori dai laboratori l’IA osserva il pianeta, dentro i laboratori prova a cambiare il modo in cui facciamo ricerca scientifica. Il progetto AI co-scientist è pensato come un assistente virtuale per gli scienziati: non un sostituto, ma un partner che legge migliaia di articoli, suggerisce ipotesi, propone esperimenti e aiuta a interpretare i dati.

Funziona così: la ricercatrice o il ricercatore definisce un obiettivo — per esempio capire perché un certo batterio diffonde resistenze agli antibiotici o individuare nuove combinazioni di farmaci per una malattia cronica — e il sistema elabora una serie di ipotesi testabili, indicando articoli rilevanti, possibili protocolli sperimentali e strategie per verificare i risultati. In alcuni test, questo tipo di sistema ha già proposto idee in linea con scoperte recenti su resistenza antimicrobica e nuovi approcci terapeutici.

Matias ha descritto questo potenziale come un vero e proprio “ciclo virtuoso della ricerca”: l’IA aiuta a formulare nuove domande, le domande portano a esperimenti, gli esperimenti generano dati che alimentano nuovi modelli, che a loro volta rilanciano il processo. Ma ha anche messo in guardia: “Un bambino è ancora in grado di risolvere problemi che per l’IA restano difficilissimi”, ha osservato, ricordando che siamo solo all’inizio e che la creatività umana resta insostituibile.

Tra i settori che potrebbero beneficiare per primi di questo co-scientist ci sono il calcolo quantistico, le neuroscienze e la ricerca farmaceutica, dove la combinazione di dati enormi e tempi di sviluppo lunghi rende ogni accelerazione particolarmente preziosa.

Bambini, scuole e IA: tra entusiasmo e timori

Un altro fronte caldo è quello dell’istruzione. Secondo Matias, l’IA trasformerà inevitabilmente il modo in cui si impara: potrà seguire i ritmi di ogni studente, personalizzare esercizi, valutare compiti in tempo reale e liberare tempo agli insegnanti per la didattica vera e propria. Ma, ha avvertito, c’è una domanda che non possiamo evitare: “Come facciamo a essere sicuri che gli studenti non finiscano per pensare come l’IA, invece di usare l’IA per pensare meglio?”, ha chiesto, indicando uno dei nodi più delicati.

Per affrontare questa sfida si sta lavorando anche sull’alfabetizzazione all’IA fin dall’infanzia. L’iniziativa AI Quest, sviluppata con l’obiettivo di spiegare l’intelligenza artificiale ai ragazzi attraverso un gioco interattivo, vuole portare in classe concetti come bias dei dati, decisioni automatiche e impatti sociali in modo comprensibile e, soprattutto, critico. Gli studenti si trovano a prendere decisioni in scenari realistici e a vedere come cambiano i risultati al variare dei dati o delle regole.

Non si tratta solo di imparare a usare strumenti digitali: la posta in gioco è formare cittadini in grado di capire come funzionano gli algoritmi che già oggi influenzano accesso al credito, pubblicità, selezioni del personale e molto altro. Se le nuove generazioni non svilupperanno competenze di lettura critica dell’IA, rischiamo di consegnare troppo potere a sistemi che pochissimi comprendono davvero.

Il caso Ghana: valutazioni automatiche e tempo in più per insegnare

L’esempio citato a Varsavia arriva da una scuola di Accra, in Ghana, dove si sta sperimentando un sistema di valutazione basato su IA che fornisce agli studenti feedback quotidiani sui loro progressi. L’algoritmo analizza i compiti, segnala errori ricorrenti, suggerisce esercizi mirati e permette agli insegnanti di capire subito chi è in difficoltà.

L’idea è chiara: l’IA si occupa del lavoro più ripetitivo e permette ai docenti di dedicare più tempo alle spiegazioni in classe, al dialogo e alle attività creative. Questo tipo di approccio si inserisce in una strategia più ampia: il Ghana ha annunciato piani per diffondere app di apprendimento basate su IA a oltre un milione di studenti delle scuole superiori, mentre ad Accra è attivo un centro dedicato alla ricerca sull’intelligenza artificiale e alla formazione di nuovi professionisti.

Ma proprio qui riemergono le preoccupazioni: cosa succede se gli studenti si affidano troppo alle risposte generate dall’IA? Se i sistemi integrano pregiudizi culturali o linguistici? E se la valutazione automatica penalizza alcuni gruppi rispetto ad altri? Domande che, come ha evidenziato Matias, richiedono non solo tecnologia, ma politiche educative, formazione degli insegnanti e strumenti di controllo trasparenti.

Regole, sicurezza e responsabilità: la sfida politica

La conferenza di Varsavia ha riportato in primo piano la necessità di regole sulla sicurezza dell’IA. Il vicepresidente di Google ha insistito su un punto: sistemi così potenti devono essere progettati sin dall’inizio pensando a malfunzionamenti, possibili abusi da parte di attori malevoli e impatti sociali non intenzionali.

Alcuni nodi sono già sul tavolo:

  • Chi è responsabile se un modello di IA suggerisce una decisione gravemente sbagliata, per esempio nella gestione di un’alluvione o nell’assegnazione di un beneficio sociale?
  • Quanto devono essere trasparenti i sistemi usati in ambiti ad alto impatto, come scuola, sanità, finanza pubblica?
  • Come si certifica la sicurezza di modelli che si aggiornano continuamente con nuovi dati?

Matias ha parlato della necessità di normative specifiche per l’IA, soprattutto negli impieghi ad alto rischio, capaci di tutelare utenti e cittadini senza soffocare l’innovazione. Un equilibrio complicato, perché regole troppo rigide potrebbero spostare ricerca e investimenti verso aree del mondo con vincoli più laschi, mentre regole troppo vaghe rischiano di lasciare cittadini e istituzioni esposti.

L’Europa tra innovazione e tutele

Sullo sfondo c’è l’Europa, impegnata a costruire il proprio modello tra diritti fondamentali e competizione tecnologica globale. La scelta di organizzare a Varsavia la prima grande conferenza europea di Google Research dedicata a questi temi non è casuale: l’Europa è uno dei luoghi dove il dibattito su IA, democrazia, privacy e mercato è più acceso.

L’attenzione alla protezione dei dati, alla non discriminazione algoritmica e all’obbligo di valutare i rischi prima di rilasciare sistemi complessi è parte di una strategia che mira a rendere l’IA compatibile con i valori dello stato di diritto. Ma la vera partita, come ha ricordato più di un relatore, si giocherà sulla capacità di trasformare questi principi in buone pratiche industriali e scientifiche, evitando che diventino solo burocrazia.

In questo senso, la collaborazione tra grandi piattaforme, università e istituzioni pubbliche sarà decisiva: serviranno standard condivisi, verifiche indipendenti e, soprattutto, un investimento massiccio in competenze. Senza ricercatori, ingegnere, insegnanti, amministratori e cittadini in grado di capire davvero cosa fa (e cosa non fa) l’IA, anche i migliori modelli resteranno scatole nere da cui dipendiamo senza poterle discutere.

Dal futuro al presente: come prepararci

Dalle previsioni di tempeste e inondazioni ai laboratori che cercando nuove cure, fino alle classi di Accra o di una qualsiasi scuola europea, il messaggio che arriva da Varsavia è netto: l’IA sta entrando nella vita quotidiana molto più in fretta di quanto pensassimo.

A fare la differenza non sarà solo la potenza degli algoritmi, ma il modo in cui li progetteremo e useremo. Come ha riassunto Matias, “la vera domanda non è cosa può fare l’IA, ma cosa vogliamo che faccia per noi”. Decidere la risposta, ora, è compito di tutti: scienziati, aziende, governi, insegnanti, genitori e studenti. 

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