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Intelligenza artificiale in oncologia: grandi promesse ma limiti ancora concreti

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Intelligenza artificiale in oncologia: grandi promesse ma limiti ancora concreti

L’intelligenza artificiale sta entrando in modo crescente nei percorsi oncologici, soprattutto nella fase diagnostica. Attraverso sistemi in grado di analizzare immagini radiologiche e vetrini digitalizzati, l’IA individua anomalie che possono sfuggire anche all’occhio esperto dello specialista, accelerando così l’identificazione precoce della malattia. L’obiettivo è supportare il medico, fornendo un’analisi ampia e rapida dei dati, non sostituirlo. Ed è proprio questo il punto: l’IA è uno strumento clinico, non un decisore autonomo.

Intelligenza artificiale in oncologia: grandi promesse ma limiti ancora concreti

I sistemi di intelligenza artificiale vengono addestrati su grandi quantità di dati. Tuttavia, quando tali dati rappresentano in modo parziale alcune popolazioni, l’algoritmo può risultare meno preciso in altre. È il cosiddetto problema del bias: un sistema molto accurato su pazienti che ricalcano il “profilo clinico” con cui è stato addestrato, ma meno efficace con gruppi diversi per caratteristiche genetiche, etniche o ambientali. È uno dei motivi per cui l’adozione richiede validazioni multicentriche e controllate.

La questione etica e la trasparenza dei processi
Accanto agli aspetti clinici, resta centrale il tema etico. I dati oncologici – immagini, parametri biologici, profili genomici – sono estremamente sensibili. La tutela della privacy e la chiara definizione dei soggetti che possono accedervi è un elemento decisivo per la fiducia del paziente. Inoltre molti algoritmi sono “a scatola nera”, cioè restituiscono una risposta senza spiegare come ci sono arrivati. In ambito oncologico, dove ogni decisione ha un peso terapeutico importante, la trasparenza del processo assume un valore clinico, non solo informatico.

Dalla ricerca alla pratica clinica: un passaggio non automatico
Un altro elemento messo in evidenza dai report scientifici riguarda la distanza tra laboratorio e reparto. L’efficacia di un algoritmo in studio non significa automaticamente disponibilità immediata per il paziente. Il percorso di integrazione clinica richiede test continui, aggiornamento regolatorio, compatibilità con le infrastrutture ospedaliere, ma anche formazione del personale medico. Si parla sempre più spesso di medico aumentato: non un professionista sostituito dall’intelligenza artificiale, ma un medico che utilizza la tecnologia per affinare diagnosi e scelte terapeutiche.

Terapie personalizzate: potenzialità da consolidare
Il potenziale è altissimo soprattutto nella medicina di precisione. L’IA è in grado di collegare mutazioni genomiche, caratteristiche del tessuto tumorale e risposta attesa alle cure, suggerendo percorsi terapeutici potenzialmente personalizzati. Tuttavia, la vera sfida oggi è trasformare questa capacità predittiva in pratica standardizzata e applicabile a tutti i pazienti, non solo nei centri più avanzati. L’innovazione sarà completa quando i benefici raggiungeranno la rete oncologica in modo uniforme.

Un punto fermo: l’empatia non si delega
Tutti gli esperti concordano su un elemento: l’IA non può sostituire la relazione medico-paziente. La componente umana – ascolto, fiducia, accompagnamento emotivo – resta parte integrante della cura oncologica. Le tecnologie possono contribuire a ridurre i tempi diagnostici e ad aumentare la precisione; non possono assumere il ruolo centrale del clinico che interpreta, spiega e condivide il percorso terapeutico.

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