Robiglio (Confindustria): "La grande occasioni per Paese e PMI passa per un modello italiano di filiera"

- di: Redazione
 
Cogliere a fondo la sfida del cambiamento promuovendo anche un cambiamento di mentalità tra gli imprenditori, puntare su digitalizzazione e sostenibilità, passare da assistenzialismo a sviluppo, sviluppare il mercato dell’equity per la crescita delle Pmi. Intervista a tutto campo sulla ripresa dell’economia italiana con Carlo Robiglio, Vice Presidente di Confindustria e di Presidente Piccola Industria che ha chiuso i suoi quattro anni di mandato lo scorso 30 novembre.

Intervista a Carlo Robiglio, Vice Presidente di Confindustria e di Presidente Piccola Industria

Presidente Robiglio Lei ha affermato che “per poter cogliere la sfida del cambiamento è necessario managerializzarsi e rafforzarsi patrimonialmente, oltre che investire sempre di più sul capitale umano”, rilevando inoltre che “serve, prima di tutto, un cambio di mentalità dell’imprenditore e dei suoi collaboratori, cui devono seguire nuovi modelli organizzativi dell’azienda e l’introduzione di nuove risorse, competenze e funzioni aziendali”. Vede segnali di cambiamento, su questi fronti cruciali, a livello delle Pmi industriali del nostro Paese?
Come Piccola Industria ormai da anni ci siamo posti l’obiettivo di essere un laboratorio di crescita del Paese e per raggiungerlo abbiamo puntato sulla diffusione della cultura d’impresa, per accompagnare le Pmi in un percorso di cambiamento profondo. Lo scopo era ed è far comprendere anche alle imprese di minori dimensioni che chiudersi e difendere le proprie scelte strategiche, sovente ispirate dal successo e dai buoni risultati del passato, vuol dire decretare la propria fine. Sicuramente sono stati fatti dei passi avanti ed è sempre più diffusa la convinzione che per dialogare con aziende più grandi, organizzate e internazionalizzate, occorre aumentare la propria visione e cultura d’impresa e sviluppare in maniera coerente e virtuosa il concetto di Filiera, lavorando insieme - piccole, medie e grandi imprese - per creare un vero e proprio “modello italiano di filiera”.

La digitalizzazione e la sostenibilità sono pilastri del PNRR e il piano Industria 4.0, divenuto Transizione 4.0, è di nuovo al centro dell’agenda politica. È soddisfatto dell’impianto di politica industriale che emerge dal PNRR? Più in generale, è soddisfatto della struttura complessiva del Piano?

Il contesto attuale è sicuramente connotato da un entusiasmo sostenuto dalla ripresa in corso, dall’uscita dalle fasi più dure dell’emergenza e dalle previsioni di spesa previste dal PNRR. Il Piano rappresenta una occasione unica per l’Italia ma, al di là delle valutazioni sui singoli aspetti, ciò che conta è scaricare a terra le riforme previste. Non possiamo perdere questo treno. Sappiamo bene, infatti, che le stime di crescita del 2024 confermano delle percentuali tra l’1 e il 2 per cento. Questa prospettiva non è favorevole come potrebbe apparire per il nostro Paese, perché ci porrebbe in una condizione particolarmente difficile rispetto al sostegno di un debito pubblico divenuto ancor più schiacciante per effetto della pandemia.

A suo parere quale ruolo possono avere concretamente, nel rilancio dell’industria italiana e in particolare della Pmi, i previsti Digital Innovation Hub e i Competence Center? Quali le opportunità, ma quali anche i rischi da evitare?
Il ruolo dei Digital Innovation Hub è proprio aiutare le PMI a riconoscere e cogliere le opportunità della digitalizzazione e a ridurne i rischi. Siamo in ritardo, ma la necessità di recuperare non vuol dire agire in modo superficiale e inconsapevole. I DIH analizzano le imprese, ne comprendono i bisogni e le accompagnano verso le soluzioni. Un lavoro mirato e operativo che assicura anche l’utilizzo dei necessari strumenti di cybersecurity, oltre che l’affinamento delle competenze dei collaboratori dell’impresa. Parallelamente, i Competence Center ci aiutano, come Paese, a rimanere aggiornati sull’innovazione ea collegare sempre di più mondo della formazione e della ricerca con quello dell’impresa.

Rapporti con i sindacati dei lavoratori: qual è lo stato dell’arte? Che valutazione dà del Patto sociale per la crescita di cui ha parlato il Presidente Draghi?
Pensiamo che questo sia il momento di lavorare insieme. In questo paese c’è bisogno di coesione, tuttavia non sempre da parte del sindacato riscontriamo la stessa disponibilità al dialogo. Anche il presidente Bonomi ha più volte rilanciato la necessità di un Patto, ma che non sia però al ribasso. Dobbiamo lavorare tutti nella stessa direzione per il bene dell’Italia.
La possibilità che in questo balzo in avanti sul terreno dell’innovazione non poche Pmi industriali restino indietro è concreta. Lei ha dichiarato che “come Confindustria siamo al fianco degli imprenditori per spostare sempre avanti il traguardo, ma senza lasciare nessuno indietro”. Come intendete operare in concreto perché ciò non avvenga?
La chiave sta nell’attenzione alle relazioni tra le imprese nel contesto produttivo, in una logica non solo commerciale o di mera fornitura, ma caratterizzata da interconnessioni virtuose che possono e devono portare reciproco vantaggio. Non si cresce e non si innova da soli. Si cresce necessariamente all’interno di un sistema, nel quale si individuano best practice ed esempi da seguire, si impara dai colleghi e sul campo, si innova sperimentando, si cresce attraendo talenti e coinvolgendo competenze e partner.
Quali i messaggi arrivati dall’annuale appuntamento Pmi Day, avvenuto lo scorso 19 novembre, in cui le piccole e medie imprese associate a Confindustria aprono le porte ai giovani, ma anche agli amministratori degli enti locali, agli organi di informazione e a tutti coloro che interagiscono con le attività delle aziende? Quali i temi ritenuti più urgenti e cruciali?
A ottobre i dati Unioncamere e Anpal ci dicono che è cresciuta ancora la difficoltà delle imprese a reperire i profili professionali ricercati: nel 36,5% dei casi le imprese dichiarano difficoltà di reperimento, percentuale che supera il 50% per diplomati ITS e laureati in ingegneria industriale, elettronica e dell’informazione. Il contributo di Piccola Industria all’education, da oltre dieci anni, si concretizza anche nell’organizzazione del PMI DAY, una giornata dedicata ai giovani. Questa manifestazione incarna perfettamente molti dei temi e dei valori che ho messo al centro del mio mandato: cultura d’impresa, responsabilità sociale e sostenibilità. Il tutto nell’incontro e nel dialogo con i giovani. Momenti come questo ci aiutano a riflettere sul fatto che i ragazzi non sono il futuro ma il presente. Un presente da curare e salvaguardare perché il Paese possa avere un futuro . Il focus di quest’anno è stato la sostenibilità. E’ stato individuato questo tema per la sua rilevanza e attualità; è, infatti, al centro del Pnrr e della riflessioni emerse dal G20 e della Cop26. Le imprese sono tanto consapevoli della sua importanza che si sono fatte esse stesse promotrici di una sensibilizzazione sull’argomento nei confronti dei giovani. Questo affinché si possa discutere di sostenibilità in modo non ideologico e affinché i ragazzi ne possano comprendere tutti gli ambiti d’azione ovvero ambientale, economica e sociale.

Tema fisco. Cosa sarebbe opportuno cambiare sul fronte della fiscalità d’impresa?
Da anni c’è una necessità di riforma che deve essere anche culturale, deve migliorare una relazione che tra fisco e piccole imprese è ancora troppo difficile, basata su reciproci pregiudizi, incomprensioni e bizantinismi. Chiediamo poi diverse misure, come il taglio del cuneo fiscale e contributivo perché si metterebbero più soldi in tasca agli italiani riducendo al contempo il costo del lavoro per le imprese e liberando più risorse per gli investimenti delle imprese. Infine, bisognerebbe eliminare l’Irap, un’imposta divenuta gradualmente anacronistica.

Le Pmi italiane restano legate strettamente al credito bancario in modo molto più forte rispetto a quanto avviene negli altri Paesi sviluppati. In altre parole, non si quotano in Borsa e più in generale non ricorrono all’equity per crescere. Quali fattori, strutturali e congiunturali, continuano a tenere così stretto questo laccio? Cosa propone Confindustria per allentarlo anche a livello di cultura d’impresa?
La questione del rafforzamento patrimoniale delle imprese rimane centrale. Bisogna trovare il modo di uscire dalla sindrome del 51%: aprirsi alle quotazioni, aprirsi ai fondi. E bisogna che il governo potenzi gli incentivi per aggregazioni, fusioni e crescita patrimoniale riducendo i costi per la quotazione in Borsa. Se metto 100mila euro di capitale in impresa invece che in banca devo avere dei benefici. Occorre, poi, soffermarsi sullo strumento dei Pir, tradizionali e alternativi, e capire come potremmo migliorarli. Va resa più efficace la ricaduta delle risorse dei Pir nel sistema delle piccole imprese.

Nel giugno 2020, in piena pandemia, lei affermò in un’intervista a Radio24 che “bisogna passare dall’assistenzialismo allo sviluppo”. Può dare una definizione in termini concreti di assistenzialismo? Ad esempio, il reddito di cittadinanza è assistenzialismo o assistenza? In altre parole, lo manterrebbe - pur modificandolo - o lo cancellerebbe?
Il reddito di cittadinanza, così come è strutturato oggi, è senz’altro una misura di assistenzialismo e si è dimostrata un grande fallimento per diverse ragioni: non ha intercettato la povertà del Nord, è stato un disincentivo per cercare lavoro al Sud ed ha comportato un notevole spreco di risorse. Sono favorevole al reddito di cittadinanza solo per la parte relativa al contrasto della povertà: nel 2020 un milione di persone sono entrate in fascia di povertà ed è giusto che abbiano delle risposte. Ma si può fare meglio, sicuramente, a partire dalla riforma delle politiche attive del lavoro. Finanziare questa misura senza riformarla prima significa continuare a sprecare soldi pubblici.
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