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La ferita quotidiana: il trauma dei lavoratori e il dolore degli animali nei mattatoi

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
La ferita quotidiana: il trauma dei lavoratori e il dolore degli animali nei mattatoi

Ogni giorno, nei mattatoi di tutto il mondo, milioni di animali vengono uccisi in silenzio. A compiere questi gesti non sono macchine, ma persone in carne e ossa: operai costretti a trasformare vite in carne, sguardi in oggetti, corpi vivi in prodotti da scaffale. Dietro ogni bistecca, ogni coscia di pollo, ogni fetta di prosciutto, c’è un gesto di morte, reiterato migliaia di volte, che non lascia indenni.

La ferita quotidiana: il trauma dei lavoratori e il dolore degli animali nei mattatoi

E non lascia indenni nemmeno chi quel gesto lo compie, spesso in condizioni al limite dell’umano, spesso contro ogni istinto naturale. La violenza sistemica dell’industria della carne non colpisce solo gli animali: lacera anche la psiche di chi è costretto a uccidere.

Il dolore che si accumula: un trauma che ha un nome
I ricercatori parlano di Perpetration-Induced Traumatic Stress, una forma particolare di disturbo da stress post-traumatico che colpisce chi, quotidianamente, infligge sofferenza. I lavoratori dei mattatoi, pur agendo all’interno di una filiera legale, si trovano immersi in un contesto di sangue, urla, corpi tremanti. Spesso raccontano incubi, flashback, crisi di pianto, abuso di alcol o farmaci. Il trauma non nasce solo dalla ripetizione del gesto, ma dalla profonda dissonanza tra ciò che si compie e ciò che si è: esseri umani costretti ad annientare la vita animale per sopravvivere economicamente. Una spirale che inghiotte, disumanizza e consuma.

Il corpo dell’altro: gli animali come vittime invisibili
Ma se il trauma umano sta finalmente emergendo, quello animale resta rimosso. I macelli sono progettati per rendere invisibile la sofferenza: corridoi ciechi, pareti insonorizzate, processi rapidi e cruenti. Eppure ogni animale percepisce, teme, resiste. Le urla dei maiali, le lacrime delle mucche, lo sguardo vitreo degli agnelli non sono proiezioni sentimentali, ma testimonianze reali di dolore. Chi lavora nei mattatoi racconta spesso il momento più straziante: lo sguardo. Quello sguardo che li accompagna, li perseguita, si insinua nei sogni. È lì che la coscienza si spezza, perché l’animale non è un pezzo di carne: è un essere che sente, che guarda, che implora.

Una società complice, che non vuole vedere
Il consumatore, spesso inconsapevole, partecipa a questo sistema con ogni pasto. Ma l’inconsapevolezza è una scelta culturale: la carne è confezionata in modo da non ricordare il corpo da cui proviene. Il sangue è nascosto, il dolore eliminato dal racconto pubblicitario. Così, anche il trauma dei lavoratori diventa tabù, silenziato da un sistema che non può permettersi di rallentare. Le aziende non offrono supporto psicologico, i sindacati parlano poco, la politica ignora. Ma l’urgenza è reale: in un mondo che parla sempre più di benessere, non possiamo accettare che la sofferenza di uomini e animali venga taciuta in nome del profitto.

Ripensare tutto: una questione morale non più rinviabile
C’è un nodo etico che non possiamo più sciogliere con l’indifferenza: uccidere esseri senzienti ogni giorno è incompatibile con un’idea di civiltà fondata sul rispetto della vita. Né uomini né animali dovrebbero sopportare ciò che accade nei macelli. L’alternativa esiste, è possibile e passa anche attraverso le scelte individuali. Ma il primo passo è guardare in faccia la verità: quella degli animali sgozzati e quella degli esseri umani che li uccidono con le mani tremanti. Solo uscendo dal silenzio si può iniziare a cambiare.

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