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La7 silenzia Giletti, ma a fare rumore è quel che non si dice

- di: Redazione
 
La7 silenzia Giletti, ma a fare rumore è quel che non si dice
I parametri del giornalismo non sono gli stessi nel mondo, variando a seconda delle latitudini e, soprattutto, della sensibilità che i cosiddetti operatori dell'informazione hanno per la verità. Che è un valore assoluto, anche se in tanti, modificandone la percezione, cercano di piegarla alle proprie esigenze e al proprio tornaconto.
Per questo sorprende, ma sino a un certo punto, la decisione de La7 di bloccare, con effetto immediato, la programmazione di ''Non è l'arena'' di Massimo Giletti. Parliamo di sorpresa anche per il modo in cui questa vicenda è stata ed è ancora condotta, tenendo conto della notorietà del personaggio che avrebbe imposto a La7 di spiegare subito quali siano state le motivazioni che l'hanno determinata a decretare una fine così traumatica di un programma che era tra quelli su cui molto si è puntato in questi anni.

La7 silenzia Giletti, ma a fare rumore è quel che non si dice

In un settore particolare quale è quello della televisione, in cui alla bravura professionale si devono accompagnare anche la presenza, la capacità di bucare lo schermo, di reggere il confronto dialettico, di pilotare la trasmissione anche quando la tensione è troppa, la vaghezza dei messaggi (quale quello che ha ufficializzato il congelamento di Giletti, che resta a disposizione della televisione) induce a troppi retropensieri, a troppe interpretazioni, a troppi sospetti.
Dare la notizia senza spiegarne il perché è, insieme, indice della delicatezza del dossier e dell'urgenza che sta dietro all'adozione della chiusura della trasmissione. Due cose che rendono ancora più arduo dipanare l'intricata trama, nella quale giocano diversi elementi, tutti degni di attenzione.

Il primo è relativo al modo di Massimo Giletti di interpretare il ruolo, che è poi alla base del suo successo, che c'è, è indubitabile, ma che crea più d'una perplessità. L'autostima è tanta e non si può certo negare, ma a determinare più d'una critica nella conduzione del giornalista è l'attenzione che mette nel cercare argomenti o personaggi che scardinino la narrazione generale. E per fare questo percorre ogni strada possibile, esponendosi però a critiche, anche pesanti. Come quelle legate al fatto di avere arruolato, nella sua trasmissione, Salvatore Baiardo, un ''pentito'' di mafia che dice di sapere tutto o quasi di quel che accade dentro e fuori Cosa Nostra. Ora, avere delle fonti privilegiate è il sogno di qualsiasi giornalista, a patto però che siano realmente tali, che quel che esce dalla loro bocca sia la verità o, almeno, quanto di più vicino ad essa può esserci.
Ma nel caso di Baiardo questo non sembra essere, perché le sue affermazioni, tra il detto e il non detto, appaiono come messaggi e non come rivelazioni. Resta sempre ''materiale'' giornalistico interessante, ma consentire sempre a qualcuno di parlare come se si rivolgesse ad alcuni e non a tutti è un rischio, che Giletti ha deciso di correre, con le conseguenze che potrebbero essere derivate. Anche se, lo ripetiamo, non è che dalla comunicazione de La7 si capisca bene se le ripetute apparizioni di Baiardo davanti alle telecamere di ''Non è l'arena'' siano state il detonatore della sospensione della trasmissione. Ricordiamoci sempre che parliamo di un personaggio che, da pentito, dovrebbe mantenere un profilo basso, avendo anche fruito della legislazione premiale e che invece moltiplica le presenze pubbliche e ora, con un video, accusa La7 di avergli tappato la bocca quando lui avrebbe voluto dire tanto, facendo quasi capire di essere pronto a traslocare su un altro gruppo televisivo.

Ma non siamo ipocriti al punto di fare finta di non sapere che alcune testimonianze abbiano in cambio un compenso. E' sempre accaduto, anche se è un terreno minato, non escludendo che, magari per guadagnare di più, l'intervistato ampli in favore di telecamere la sua reale conoscenza delle cose, per fare crescere l'audience.
Cose che capitano, forse più spesso di quel che sembra.
L'algido comunicato della televisione del gruppo Cairo sembra essere la naturale conclusione di un rapporto giornalistico che, se inizialmente era ideale, con Giletti che portava dentro La7 quello zoccolo duro di suoi personali estimatori, nel tempo sembra essersi allentato, perché è accaduto quel che nessuna emittente può permettersi: che il singolo conduttore fagociti la televisione, diventando esso stesso un brand a discapito di chi, pagandolo, lo manda davanti alle telecamere.
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