Papa Leone XIV eredita una Curia profondamente trasformata. Non solo per effetto delle nomine, ma per l’impianto strutturale che papa Francesco ha lasciato in eredità con la costituzione Praedicate Evangelium, entrata in vigore nel 2022. A oltre dieci anni da quella riforma, oggi il cambiamento si vede: più laici nei vertici vaticani, un numero minore di dicasteri, maggiore attenzione all’efficienza amministrativa e alla trasparenza economica. Ma la vera svolta, silenziosa eppure radicale, è nella natura stessa del governo della Chiesa: meno potere accentrato nel clero, più condivisione decisionale, più permeabilità con il mondo “di fuori”.
Leone XIV e la nuova Curia: più laici, più trasparenza, meno potere clericale
In questo scenario, Leone XIV – eletto dopo un Conclave breve e apparentemente privo di fratture – si trova a esercitare il ministero petrino su una macchina che non è più quella pre-Bergoglio. Il papa è ancora vescovo di Roma e successore di Pietro, ma è anche, sempre più visibilmente, amministratore di un’organizzazione complessa, multilivello, chiamata a gestire sfide concrete: conti in rosso, scandali giudiziari, calo delle vocazioni, ricostruzione del legame con le periferie del mondo.
Il tempo dei laici
La presenza di laici – uomini e donne – nei dicasteri non è più una concessione, ma un fatto. L’ex giornalista Rai Paolo Ruffini guida da anni il Dicastero per la Comunicazione. Altri nomi, meno noti ma altrettanto influenti, sono entrati nella macchina vaticana con competenze tecniche, visione laica del mondo, e spesso con un linguaggio più vicino ai fedeli che al lessico canonico. Non è solo una questione di parità o inclusione. È il riconoscimento che una Chiesa viva non può fondarsi su un modello clericale autoreferenziale. È anche, e forse soprattutto, una risposta al bisogno di legittimità: in un mondo che mette in discussione le autorità verticali, la Curia riformata cerca una forma nuova di autorevolezza.
La razionalizzazione della struttura vaticana
La Praedicate Evangelium ha ridotto e accorpato dicasteri, semplificato funzioni, eliminato posizioni storicamente intoccabili. Il nuovo Dicastero per l’Evangelizzazione, posto sotto la diretta guida del papa, esprime con chiarezza una priorità: missione, e non gestione. Ma resta aperta la questione della capacità della Curia di parlare davvero il linguaggio delle comunità ecclesiali sparse nel mondo. Il rischio è che la riforma si traduca in efficienza organizzativa ma perda il legame spirituale con la base. Leone XIV dovrà vigilare non solo sui bilanci, ma anche su quella che papa Francesco chiamava “conversione pastorale della struttura”.
Sfide materiali e immateriali
Il Vaticano oggi ha un problema economico evidente: un disavanzo strutturale, patrimonio in parte immobilizzato, entrate ridotte. Ma la vera urgenza è quella della credibilità. Gli scandali degli ultimi anni – dal processo Becciu alle inchieste sullo Ior – hanno intaccato la fiducia, anche tra i credenti. La riforma ha provato a rispondere con trasparenza e nuovi protocolli, ma la reputazione si costruisce nel tempo. La scelta di un papa riformista ma meno divisivo potrebbe aiutare in questa ricostruzione.
Un papato in transizione d’epoca
Leone XIV non è Francesco, ma ne eredita l’impianto e la direzione. Il nuovo papa dovrà capire se proseguire lungo quella rotta o se cercare un proprio equilibrio, tra innovazione e tradizione. Il primo discorso ai cardinali ha lasciato intravedere un’intenzione di continuità, soprattutto sui temi della sinodalità e dell’ascolto. Ma il tempo della semina è finito. Ora è il tempo del raccolto.
La Curia rinnovata è più leggera, più aperta, meno clericale. Ma la Chiesa resta un organismo fragile, attraversato da spinte opposte. Il compito di Leone XIV sarà non solo governarla, ma ricucirne i legami: tra centro e periferia, tra fede e istituzione, tra passato e futuro. E in un tempo in cui la spiritualità si disperde e la religione è spesso piegata alla propaganda, sarà proprio la qualità del suo governo a fare la differenza.