La prima lezione di Leone XIV: "Gesù non è un supereroe, è Dio"
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Finisce il tempo delle carezze e dei compromessi. La Chiesa ha un nuovo Papa, e la sua prima omelia è già un programma di governo dello spirito. Leone XIV ha scelto la Cappella Sistina per pronunciare non parole di circostanza, ma un affondo netto nel cuore della crisi contemporanea della fede. Nessun accenno al clima gioioso dell’elezione, nessuna gratitudine pubblica, nessun racconto personale. Solo un appello, severo e diretto: recuperare la verità piena su Cristo. La frase chiave arriva a metà omelia: «Ridurre Gesù a un superuomo è ateismo di fatto». Una frase che pesa come un monito, che suona come un atto di accusa verso una civiltà che ha svuotato il cristianesimo del suo scandalo originario. Gesù non è un esempio etico, non è un’ispirazione astratta, non è un mito positivo: è Dio. Togliergli questa identità significa tradirlo.
La prima lezione di Leone XIV: "Gesù non è un supereroe, è Dio"
L’intervento di Leone XIV non è uno sfogo, ma un’analisi: lucida, sorvegliata, ma senza infingimenti. C’è un modo, oggi, di parlare bene di Gesù senza crederci davvero. Si onora la figura del Nazareno come si farebbe con un personaggio storico che ha dato buoni insegnamenti: un maestro tra i tanti, magari il più dolce, il più misericordioso. Ma un uomo. Una specie di superuomo etico. È questo, dice il Papa, l’errore che svuota la fede dall’interno. È questo il volto nuovo dell’ateismo: non più polemico, non più militante, ma insinuato dentro una religiosità estetica, affettiva, innocua. Dire che Gesù è solo un grande uomo, significa rinnegare il cuore della fede. Ed è una tentazione, avverte Leone XIV, che non riguarda solo i non credenti. Coinvolge anche i battezzati. Coinvolge la Chiesa stessa.
Una fede considerata debolezza
C’è un altro passaggio, pronunciato quasi in tono dimesso, che però fotografa con precisione la condizione spirituale del nostro tempo: «Spesso oggi la fede è ritenuta una cosa per persone deboli o poco intelligenti». Non è un lamento, ma una constatazione. La fede è vissuta, nel dibattito pubblico, come una sorta di inferiorità culturale. Chi crede, viene spesso compatito. Come se credere in Dio fosse un residuo, una superstizione, un riflesso infantile. Leone XIV denuncia questa visione, ma non si limita a difendere la fede con argomenti apologetici. Ribalta la prospettiva: non è la fede ad essere debole, ma il mondo che non sa più porsi domande ultime. Chi crede, dice in sostanza, non rinuncia alla ragione, ma ne fa uso fino in fondo.
Sparire per far spazio al Vangelo
Ma il passaggio più radicale è quello che riguarda la stessa Chiesa. Parlando ai cardinali, Leone XIV ha indicato il loro compito con parole che sembrano dettate da un bisogno urgente di purificazione: «Sparire perché rimanga Cristo». Non è solo un appello all’umiltà, è una strategia ecclesiale. La Chiesa deve diventare trasparente, togliersi di mezzo, non farsi idolo. «Farsi piccoli perché Lui sia conosciuto e glorificato»: è un messaggio rivolto non solo ai porporati, ma a ogni battezzato che abbia fatto della visibilità, del prestigio, del potere ecclesiastico la propria meta. È il contrario della Chiesa autoreferenziale, quella che parla di sé, che si organizza, che si celebra. È il sogno di una Chiesa invisibile, perché trasparente a un Altro.
La conversione come stile di vita
Un’altra parola chiave, spesso inflazionata, viene qui recuperata nella sua densità: conversione. Non come atto eccezionale, ma come esercizio quotidiano. «È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione», dice il Papa. La conversione non riguarda solo chi si allontana, ma anche chi crede di essere vicino. È un lavoro costante, una sorveglianza spirituale. È il riconoscimento che la fede non è mai un bene posseduto una volta per tutte. È una dinamica viva, un’adesione che si rinnova.
Il coraggio dell’annuncio
Infine, Leone XIV richiama la dimensione missionaria della fede. In un tempo che premia la discrezione, che invita alla neutralità, che considera l’annuncio qualcosa di aggressivo, il Papa invita a non tacere. «Abbiamo il dovere di annunciare Cristo a tutti», ha detto. Tutti, non solo chi è disponibile. Tutti, non solo chi è già nella cerchia. Anche dove il nome di Gesù è imbarazzante, anche dove la fede è derisa. Non per proselitismo, ma per fedeltà. Perché una fede che non parla, che non si espone, che non si rischia, è una fede morta.
Il tono di un pontificato che non si piegherà
È bastata una sola omelia, la prima, per capire che questo Papa non intende accontentarsi. Non parla per accarezzare. Non cerca la mediazione a ogni costo. Leone XIV ha tracciato una linea: la fede non può essere negoziata, svuotata, addomesticata. Sarà un pontificato scomodo, se resterà fedele a queste parole. Ma sarà anche, forse, quello che più parlerà a chi ha fame di verità, non di immagini.