Una missiva finora ignorata riscrive l’esilio dantesco: Dante ghostwriter imperiale, tra diplomazia e stile profetico.
Un ritrovamento che riscrive l’immagine del poeta
Un documento dimenticato negli archivi della diplomazia medievale potrebbe cambiare radicalmente la nostra visione di Dante Alighieri. La scoperta di una lettera latina, datata all’estate del 1312 e indirizzata all’imperatore Enrico VII, viene ora attribuita con “altissima probabilità” proprio al Sommo Poeta. A sostenerlo è Paolo Pellegrini, docente di Filologia e linguistica italiana all’Università di Verona, in una ricerca che ha suscitato entusiasmo e dibattito nella comunità accademica.
Il testo – noto agli specialisti ma mai ricollegato a Dante – sarebbe stato redatto per conto di Cangrande della Scala, signore di Verona, dove Dante trovò rifugio dopo la condanna all’esilio da Firenze. Un ruolo, quello di scriba e ghostwriter politico, che apre nuovi scenari sulla biografia del poeta e sull’architettura stessa della Commedia.
Un Dante inedito: scriba, politico, stratega
La lettera affronta una delicatissima questione interna all’Impero: lo scontro tra Filippo d’Acaia, alleato francese, e Werner von Homberg, uomo dell’imperatore. Cangrande, stretto alleato di Enrico VII, avrebbe commissionato la missiva al poeta fiorentino, probabilmente per via della sua fama retorica e della capacità di maneggiare il latino in chiave alta, politica, persuasiva.
Secondo Pellegrini, “Cangrande doveva inviare un messaggio diplomatico all’imperatore e si rivolse a Dante, l’unico in grado di redigere un testo tanto solenne”. Non un semplice atto notarile, dunque, ma un’operazione di stile e potere.
Gli indizi: stile, lessico, fonti
Pellegrini individua numerosi elementi a sostegno dell’attribuzione:
- Richiami diretti alla cultura classica e tardoantica, in particolare le Variae di Cassiodoro;
- Lessico ricorrente tra la lettera e l’opera poetica, come l’espressione “vasa scelerum”, presente anche nell’Inferno (XXII, 48);
- Uno stile elevato, solenne, profetico, che rispecchia il Dante epistolare delle lettere a Enrico VII e agli amici rimasti a Firenze.
La combinazione di questi elementi spinge il filologo a parlare di una “attribuzione fondata”, benché non definitiva. È la filologia, come sempre, a dover procedere con cautela. Ma la possibilità che Dante abbia avuto un ruolo centrale nell’elaborazione di testi politici durante il suo esilio apre scenari finora inesplorati.
Un nuovo volto dell’esilio veronese
Tradizionalmente, il soggiorno di Dante a Verona è considerato breve, risalente al 1312. Ma la lettera, datata con buona probabilità a quell’estate, suggerisce che Dante non fosse solo un ospite, bensì una figura integrata nell’entourage scaligero, impiegato nella gestione delle relazioni con il potere imperiale.
Questo confermerebbe, secondo Pellegrini, una presenza più lunga e strutturata a Verona, e di conseguenza un diverso equilibrio nella mappa dell’esilio dantesco.
“Dante non era solo un poeta ospitato per cortesia. Era un autore politico. Un intellettuale al servizio di un progetto imperiale”, scrive Pellegrini.
Dalla Commedia alle lettere: continuità nascosta?
L’attribuzione della lettera solleva una domanda centrale: in che modo questo Dante politico incide sull’interpretazione della Commedia?
La Commedia, scritta negli stessi anni, è attraversata da un’ideologia fortemente imperiale. L’elogio a Enrico VII nel Purgatorio, la condanna di Bonifacio VIII, la visione escatologica e giuridica del potere: tutto converge verso un pensiero che si riflette nel contenuto della lettera scoperta.
Questa nuova fonte rafforza l’idea che la poesia e la diplomazia dantesca non siano mai separate, ma parte di un’unica visione del mondo. La forma epistolare diventa uno strumento per plasmare la realtà, influenzare i regnanti, costruire visioni teologiche del potere.
Le reazioni della comunità accademica
Il dibattito è aperto. Alcuni studiosi invitano alla prudenza, chiedendo ulteriori verifiche sullo stile e la paternità reale della lettera. Altri invece abbracciano con entusiasmo la scoperta, vedendola come un’occasione per arricchire il corpus dantesco e riscrivere parte della biografia del poeta.
L'italianista Riccardo Bruscagli ha più volte sottolineato l’importanza delle epistole come chiave di lettura per comprendere l'evoluzione ideologica del poeta durante l'esilio.
Un Dante da riscoprire, di nuovo
Questa scoperta si inserisce in una stagione feconda per gli studi danteschi, avviata durante il settecentenario della morte, ma ancora ben lontana dall'esaurirsi. In questi anni, nuovi manoscritti, nuove interpretazioni e ora una lettera dimenticata rilanciano una figura che non smette di sorprendere.
Che si tratti di ghostwriting o di coinvolgimento diretto, emerge il profilo di un Dante stratega e intellettuale militante, più vicino alla realtà delle corti del Trecento che all’immagine cristallizzata del solitario poeta visionario.
Un poeta che sapeva “maneggiare la penna come la spada”
Nel Medioevo la scrittura era potere. E Dante ne era perfettamente consapevole. Questa lettera, se confermata, ce lo restituisce come autore politico, partecipe degli equilibri imperiali e fedele a un ideale di giustizia non solo teologica ma anche terrena.
“Non è la Commedia a rendere Dante un profeta: è l’insieme della sua opera, lettere incluse, a raccontarci una vocazione politica consapevole e radicale”, osserva il critico Marco Grimaldi.