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Auto ibride, la corsa senza regole di un mercato in pieno boom

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Auto ibride, la corsa senza regole di un mercato in pieno boom

Nel giro di pochi anni, l’ibrido si è affermato come uno dei principali protagonisti della transizione automobilistica italiana. La domanda cresce, l’offerta si diversifica, ma il quadro normativo resta frammentato e opaco. È la fotografia impietosa che emerge dalla nuova ricerca dell’Osservatorio Auto e Mobilità della Luiss Business School, che indaga il settore delle auto ibride nel mercato italiano con un approccio quantitativo e strutturale, restituendo il ritratto di un comparto in fermento ma privo di una cornice di riferimento solida e univoca.

Auto ibride, la corsa senza regole di un mercato in pieno boom

Il dato che colpisce è quello della varietà: 762 varianti ibride oggi disponibili in Italia, distribuite su 244 modelli e offerte da 48 marchi. Ma dietro questo numero impressionante si cela un labirinto tecnico e commerciale, fatto di definizioni ambigue, soglie sfumate e assenza di un sistema classificatorio condiviso.

L’anomalia italiana del Middle Hybrid e la difficoltà di leggere il mercato
All’interno di questa galassia, una sotto-galassia merita attenzione: è quella delle vetture Mild Hybrid capaci di muoversi per tratti brevi in modalità esclusivamente elettrica, oggi indicate con il termine di “Middle Hybrid”. Una definizione non ufficiale ma ormai diffusa, che riguarda 65 delle 475 varianti Mild Hybrid in commercio.

In altre parole, il 14% di un segmento già vastissimo sfugge alle categorie tradizionali. È un segnale rivelatore di un cortocircuito semantico prima ancora che normativo: per il consumatore, comprendere se un veicolo può davvero procedere a motore termico spento, e per quanto tempo o distanza, è un’impresa quasi impossibile. Per i produttori, invece, è l’occasione di moltiplicare le offerte, in assenza di vincoli formali. Ecco dunque il cuore del problema: l’ibrido, nato per semplificare la transizione, è diventato terreno fertile per la complessità e la confusione.

Quote di mercato in forte crescita, ma restano indeterminate le performance elettriche reali
Sul fronte delle vendite, gli ibridi non ricaricabili dall’esterno si confermano come la componente più significativa del mercato: rappresentano il 44,9% delle auto immatricolate in Italia nei primi quattro mesi del 2025, e il 35,9% nel primo trimestre europeo. Ma nel listino nazionale, la loro presenza è ancora più marcata: costituiscono il 72% dell’offerta complessiva ibrida. Una dominanza che si misura più con la penetrazione commerciale che con l’effettiva capacità elettrica dei veicoli. Infatti, al momento, nessuna delle procedure di omologazione europee – compreso il ciclo WLTP – rileva dati sul comportamento elettrico delle auto ibride non plug-in. Il risultato è paradossale: veicoli diversi tra loro per prestazioni, autonomia elettrica, e tipo di utilizzo urbano vengono inseriti nella medesima categoria omologativa, rendendo impossibile ogni comparazione su base tecnica. I Plug-in Hybrid, ad esempio, registrano una capacità media delle batterie pari a 20,3 kWh e percorrenze in modalità elettrica attorno ai 79 km, ma non è possibile stabilire una soglia minima prestazionale per definirli tali, né distinguerli con coerenza dagli ibridi “leggeri”.

Tredici metodi di classificazione, nove parametri diversi, un solo criterio normativo
La ricerca della Luiss Business School analizza tredici metodologie di classificazione dell’ibrido oggi presenti sul mercato e nel dibattito tecnico. Da esse emergono nove parametri differenti: dalla potenza del motore elettrico alla capacità della batteria, dal livello di rigenerazione in frenata alla possibilità di marciare a motore termico spento. Il criterio più ricorrente – presente in sette dei tredici schemi – è proprio questo: la capacità del propulsore elettrico di muovere il veicolo da solo. Ma si tratta di una caratteristica non rilevata formalmente né inclusa nei documenti di circolazione. Di fronte a questo mosaico di approcci, l’omologazione europea resta ancorata a una distinzione binaria: ricaricabile o non ricaricabile dall’esterno. Una semplificazione eccessiva, che di fatto rinuncia a descrivere le prestazioni reali e lascia campo libero a soluzioni ibride “di facciata”, che investono nel marketing più che nella sostanza tecnologica.

Due proposte per riformare la classificazione e restituire trasparenza
Per affrontare questo vuoto regolatorio, l’Osservatorio propone due strade. La prima, praticabile nel breve termine, consiste nell’introduzione di un indice oggettivo del grado di elettrificazione, calcolato sulla base di tre parametri già disponibili in fase di omologazione: potenza del motore elettrico, potenza del motore termico, e massa del veicolo. È una soluzione tecnicamente semplice e applicabile subito, perché non richiede modifiche normative e utilizza dati ufficiali già presenti nei documenti di immatricolazione. La seconda proposta, più ambiziosa e proiettata nel medio termine, mira invece a classificare le auto ibride sulla base del loro comportamento reale in ambito urbano. In particolare, si propone di misurare la percentuale di tempo e distanza percorsa in modalità elettrica nei cicli di guida urbana. Su questa base, verrebbero individuate tre fasce: Full Hybrid (oltre il 60% del tempo/distanza a motore termico spento), Middle Hybrid (tra il 30% e il 59%) e Mild Hybrid (sotto il 30%). Si tratta di una metrica dinamica e funzionale, ma che richiede nuovi protocolli di misurazione e una revisione complessiva delle procedure europee.

Un cammino lungo venticinque anni, ancora senza una destinazione normativa chiara
La ricerca ripercorre l’evoluzione storica dell’auto ibrida, dai primi prototipi storici, al lancio della prima auto ibrida di serie in Giappone e all'arrivo sul mercato americano e in Europa, fino allo sviluppo delle moderne varianti Mild, Middle, Full e Plug-in Hybrid, con l’aggiunta di altre alimentazioni oltre alla benzina, come diesel e GPL, l’ibrido ha rappresentato un pilastro della transizione energetica. Ma la sua forza, cioè la capacità di coniugare motore termico e motore elettrico in soluzioni flessibili, è oggi anche il suo limite. Senza una classificazione coerente, l’ibrido rischia di diventare un concetto indistinto, incapace di guidare le scelte dei consumatori e di orientare le strategie industriali. La proposta dell’Osservatorio, in questo senso, punta a rimettere ordine, restituendo al mercato un linguaggio condiviso, fondato su parametri verificabili e finalizzato a una vera trasparenza tecnologica. Un passo necessario per evitare che il successo dell’ibrido si trasformi, alla lunga, in un’involuzione della fiducia.

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