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Automotive UE 2035: Flessibilità sì, ma neanche tanta

- di: Daniele Maver
 
Automotive UE 2035: Flessibilità sì, ma neanche tanta

Ieri la Commissione Europea ha presentato un Pacchetto Automotive per rispondere alla realtà di un mercato ancora tiepido nei confronti delle auto elettriche e alle conseguenti preoccupazioni dei costruttori.

Il punto di partenza è la modifica del target di riduzione delle emissioni per il 2035 sceso dal 100% al 90%. Questo cambiamento apre dei margini di flessibilità ma conferma che la grande maggioranza dei veicoli venduti dal 2035 dovrà essere elettrica. Quel 10% residuo lascia lo spazio per una nicchia di tecnologie di transizione ad alta efficienza, come i Range Extender (EREV) o le ibride plug-in (PHEV).

Si apre contestualmente un problema tecnico e normativo: come misurare le emissioni reali? Finora le PHEV hanno goduto di test di omologazione (WLTP) spesso poco realistici, che restituivano valori di emissioni estremamente bassi. Dal 1° gennaio 2026  la normativa Euro 6e-bis cambierà il calcolo dell'Utility Factor, aumentando il peso dei chilometri percorsi in modalità termica. L'impatto sui numeri sarà immediato: molte PHEV che oggi dichiarano 20-30 g/km CO2 vedranno i propri valori schizzare verso i 100 g/km. In questo nuovo contesto, rientrare nei parametri di quel 10% residuo diventerà una sfida tecnica possibile solo per veicoli con un'efficienza reale molto superiore a quella odierna.

Un altro punto cruciale riguarda la metodologia di calcolo delle emissioni. L'UE pur parlando di  neutralità tecnologica, ha confermato l'approccio Tailpipe Only (emissioni allo scarico): se l'auto non emette CO2 mentre viaggia, è considerata "pulita". Molti osservatori ritengono questa una occasione mancata  per passare al calcolo LCA (Life Cycle Assessment), che considera l'intero ciclo di vita del veicolo, dalla miniera allo smaltimento. Sebbene l'approccio LCA sarebbe scientificamente più corretto, è difficile da gestire in questa fase, dato che i sistemi di calcolo sono ancora fluidi e oggetto di dibattito.

Tuttavia, l'Europa ha introdotto un compromesso interessante: la compensazione di filiera. Pur non adottando l'LCA, la normativa introduce un meccanismo di crediti che permette ai costruttori di coprire quel 10% di emissioni residue attraverso due canali distinti:

  • Biocombustibili ed e-fuel (fino al 3%): una quota comunque molto ridotta, confinata a nicchie di mercato, come le supercar o veicoli specifici.
  • Acciaio Green (fino al 7%):  crediti derivanti dall'uso di acciaio green prodotto in UE con idrogeno verde. È un modo indiretto di considerare l'impatto del ciclo di vita senza rivoluzionare l'intero sistema di omologazione.

Prendendo spunto dalle Kei car giapponesi, è stata anche creata una nuova categoria di vetture elettriche compatte (4,2m), prodotte in EU che godranno di particolari agevolazioni.

La UE tradizionalmente paladina del libero mercato, ha di fatto ristretto queste agevolazioni per l’acciaio green e per le utilitarie elettriche alla sola produzione europea.

Infine, resta il nodo delle flotte aziendali, identificate da sempre come il motore della transizione per via del ricambio veloce e delle percorrenze prevedibili. La UE ha chiesto agli Stati Membri di definire gli obiettivi di quota delle vetture a zero o basse emissioni in funzione della maturità di ogni singolo mercato. Il giornale tedesco  Bild prevede che questo obiettivo possa essere 100% EV nel 2035 per i mercati più sviluppati dell’Europa centrale, Germania e Francia in primis; e un numero più basso intorno al 60% per Spagna e Italia.

In definitiva, il cambiamento proposto dalla Commissione UE, che dovrà essere approvato dal Parlamento UE e dagli Stati membri,  apre dei margini di flessibilità, ma si tratta di margini stretti e condizionati. La strada rimane quella di una forte spinta alla elettrificazione delle auto con una flessibilità gestibile attraverso crediti, utility factor e compensazioni, ben più articolata di un semplice divieto.

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