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Mahmoud, il bambino amputato a Gaza, è la foto dell’anno

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Mahmoud, il bambino amputato a Gaza, è la foto dell’anno

FOTO: ©Samar Abu Elouf

Il piccolo Mahmoud Ajjour, 9 anni, è diventato il simbolo universale della sofferenza civile nel conflitto israelo-palestinese. La sua immagine – ritratto dal fotografa palestinese Samar Abu Elouf per il New York Times – è stata scelta come foto dell’anno dal World Press Photo 2025. Nello scatto, Mahmoud appare seduto, assorto, con il busto inclinato e le gambe tese, mentre cerca di interagire con un telefono usando i piedi.

Mahmoud, il bambino amputato a Gaza, è la foto dell’anno: la guerra e la diplomazia nel contrasto del 2025

Le sue braccia non ci sono più. Gli sono state amputate dopo essere rimasto gravemente ferito durante un bombardamento a Gaza City nel marzo 2024. La foto non è solo una denuncia, ma una testimonianza, una forma di resistenza visiva: mostra non solo la violenza, ma la resilienza di un bambino che ha perso tutto e tenta ancora di vivere.

Una ferita aperta nella striscia più martoriata del mondo
La vicenda di Mahmoud è una tra le tante. Quel giorno, secondo quanto ricostruito, la sua famiglia stava fuggendo verso sud, come indicato dalle autorità militari israeliane, ma è stata colpita da un attacco mentre era in marcia lungo una delle arterie designate come “sicure”. Lui è sopravvissuto, la madre è morta. Portato in condizioni critiche in un ospedale da campo e poi trasferito in Qatar per un intervento d’urgenza, oggi si trova in una clinica di riabilitazione. Non ha ancora ricevuto protesi, ma sta imparando ad adattarsi: scrive, gioca, apre le porte con i piedi. La fotografa ha documentato ogni fase del suo recupero, trasformando la cronaca del dolore in una narrazione visiva sull’umanità che resiste, anche sotto le macerie.

Trump ferma Israele sull’Iran: diplomazia al limite
Intanto, sul piano geopolitico, il conflitto regionale rischia di allargarsi. Secondo un’inchiesta del New York Times, Israele aveva pianificato un attacco a siti nucleari iraniani già nel mese prossimo. La decisione, però, sarebbe stata bloccata direttamente dal presidente statunitense Donald Trump, deciso – almeno per ora – a privilegiare la via diplomatica. “Preferisco negoziare un accordo con Teheran per limitare il programma nucleare”, avrebbe dichiarato il presidente Usa. Ma l’avvertimento è netto: “Se non faranno l’intesa, si metterà male per loro”. Parole che suonano come un ultimatum e che confermano la fragilità degli equilibri tra Israele, Iran e Stati Uniti, in un contesto reso ancora più esplosivo dalla crisi a Gaza.

La linea sottile tra pace e guerra nel Medio Oriente
La scelta di Trump segna una svolta temporanea, ma non definitiva. Israele, secondo fonti anonime raccolte dalla stampa americana, sarebbe pronto a muoversi autonomamente se percepirà che la trattativa con Teheran sta fallendo o che il programma nucleare iraniano raggiunge soglie critiche. La diplomazia statunitense è al lavoro per costruire un nuovo quadro negoziale, ma resta fortissimo lo scetticismo di Tel Aviv, che teme un nuovo accordo troppo morbido e poco vincolante. Intanto, i riflettori del mondo restano puntati su Gaza, dove le operazioni militari continuano e la popolazione civile è allo stremo, con bambini come Mahmoud che pagano il prezzo più alto di tutte le strategie e i calcoli geopolitici.

La foto che parla al mondo, il mondo che deve rispondere
La scelta del World Press Photo non è solo un premio a un’immagine tecnicamente potente. È una chiamata alla coscienza collettiva. La foto di Mahmoud ha già fatto il giro del mondo, è stata esposta nei principali musei e diffusa nelle scuole, nei centri stampa, nei luoghi di culto. Non è retorica: è realtà. È l’icona del 2025 non per la sua estetica, ma per la sua verità. Mentre i governi decidono, mentre i presidenti negoziano o minacciano, mentre le alleanze si spostano come pedine sullo scacchiere globale, c’è un bambino che impara a vivere senza braccia. E nel suo sguardo non c’è vendetta, ma una semplice domanda che non ha bisogno di parole: “Perché?”.

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