Marcello Mastroianni

- di: Claudia Loizzi
 

"Tu saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo? Di scegliere una cosa, una cosa sola e di essere fedele a quella, riuscire a farla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto, che diventi tutto proprio perché è la tua fedeltà che la fa diventare infinita, saresti capace?”. 
Si chiedeva Marcello Mastroianni attraverso Guido Anselmi in Otto e mezzo.
Il 19 dicembre ricorre il 22° anniversario della sua morte, Roma lo celebra in una mostra all’Ara Pacis dal 26 ottobre al 17 febbraio.
Una mostra che vuole raccontare la sua storia più intima, attraverso i suoi ricordi più personali, cimeli, frasi, citazioni e foto rubate alla sua vita privata e professionale, e sue clip raccolte nel film-documentario Mastroianni. Mi ricordo, sì, io mi ricordo di Anna Maria Tatò, la sua compagna, e che in ogni ambiente del percorso man mano ci raccontano sempre un po’ più di lui. La mostra ci accoglie sin dall’inizio nelle passioni di Mastroianni, le foto dei suoi divi preferiti che ammirava e per i quali non ha mai nutrito rivalità alcuna: Gary Cooper, Clark Gable, Tyrone Power, Errol Flynn, John Wayne, Greta Garbo, Jean Gabin, Fred Astaire, Vittorio De Sica, Anna Magnani, Amedeo Nazzari. Al contrario la sua grande umiltà ha sempre caratterizzato il suo modo di rapportarsi ai suoi colleghi. Un uomo senza vanità, è incredibile che ci sia riuscito nonostante sia stato negli anni d’oro un’icona sexy, cosa che lo ha sempre imbarazzato non poco, perché effettivamente lui è stato davvero molto di più. Un attore di straordinario talento che non si è voluto lasciare definire dal jet set in un un’unica dimensione meramente estetica. Anche per questo le sue scelte professionali sono state di volta in volta ribaltate: è riuscito a interpretare svariati ruoli da “Latin lover” ne La Dolce Vita (1960) e (1963) a Il bell’Antonio in cui è tutto il suo contrario. Ma anche ruoli molto delicati e complessi come in Una giornata particolare (1977), in cui interpreta superbamente un omosessuale al tempo del fascismo assieme ad una strepitosa Sophia Loren, ruolo che gli valse la candidatura all’Oscar nel 1978 come migliore attore protagonista. 
La sua carriera si snoda in un percorso davvero lungo. A undici anni il suo primo ingresso a Cinecittà, definita da lui “la fortezza dei sogni”quel mondo magico e tanto ambito all’epoca, avviene grazie ad un pass ottenuto dalla famiglia dei suoi amichetti del cuore, i Di Mauro, che avevano una trattoria proprio nei dintorni: “La Sig.ra Di Mauro mi procurò per anni i buoni per poter fare la comparsa, altrimenti a Cinecittà non si entrava. Pappalardo, il portiere, era una specie di mastino che senza quel buono non faceva passare nessuno”. Partecipa inizialmente come comparsa in qualche film per poi ottenere il ruolo di vigile, doppiato da Alberto Sordi, in Domenica d’agosto (1950) di Luciano Emmer.
L’altra anima di Mastroianni è il teatro: «Non si recita con tutto il corpo, al cinema; a teatro sì. Nel cinema si è sempre tagliati più o meno qui, sopra l’ombelico – e questo a me dispiace, perché il corpo ha una sua funzione precisa, esprime l’atteggiamento di un personaggio, esprime anche uno stato d’animo». Pur non essendo iscritto al C.U.T (Centro Universitario Teatrale) dove recitava, viene notato dall’amministratore della compagnia di Luchino Visconti che nel 1948 lo chiama per Rosalinda – As You like it di William Shakespeare (con le scene e i costumi di Salvator Dalì!) e gli spettacoli successivi, tra cui Un tram chiamato desiderio, di Tennessee Williams, L’Oreste di Vittorio Alfieri, recitando al fianco di Rina Morelli, Paolo Stoppa, Giorgio De Lullo, Vittorio Gassman.  Proprio quest’ultimo, la sera della prima dell’Oreste al Teatro Quirino di Roma, in un momento di panico avrà il compito di tranquillizzarlo.
Quando Visconti lo chiama per Le notti bianche (1957) Mastroianni compie il salto di qualità. Nella celebre scena di ballo, il regista lo lascia libero di recitare con tutto il corpo, proprio quello che amava fare. Si apre per lui la stagione del cinema d’autore con Mario Monicelli, Dino Risi, Mario Camerini, Carlo Lizzani ma sarà Alessandro Blasetti a inventarsi le potenzialità della coppia con Sophia Loren, la più riuscita del cinema italiano in cui Mastroianni è in perfetto equilibrio con la Loren dalla quale appare quasi soggiogato. Dai primi anni del dopoguerra è la prima coppia moderna italiana in cui la femminilità della Loren si impone sfrontata e senza paura sotto lo sguardo a volte scanzonato ma anche intimidito di un nuovo maschio italiano alleggerito dagli eccessi del machismo tout court.
E’ questo il suo successo e la sua peculiarità attoriale, una profonda leggerezza. Non ha bisogno di caratterizzare il suo personaggio attraverso tic, o particolari modi di fare, metodo che al contrario usava ad esempio Gassman. La cifra di Mastroianni è la normalità. Ha la capacità di interpretare l’uomo comune, nel quale facilmente ognuno può identificarsi. Così con la naturalezza e l’eleganza che lo distingue, raggiunge l’apice della sua capacità espressiva attraverso i personaggi creati da Federico Fellini. Il lungo viaggio con Fellini è proprio la sezione dedicata al sodalizio fondamentale tra Federico e Marcello. Tra loro nasce una profonda amicizia che traspare dagli scatti giocosi in cui il regista mostra all’attore come interpretare una scena. Ne La dolce vita, 8 e ½, La città delle donne i due sembrano quasi nascondersi uno dietro l’altro, e ancora Ginger e Fred, Intervista fino a Il viaggio di G. Mastorna, (un cognome che ricorda quello di Mastroianni) progetto che però Fellini non riuscirà mai a realizzare.
La mostra ci accompagna anche nella fase internazionale della carriera di Marcello Mastroianni. Trascorre un lungo periodo a Parigi, dove gira numerosi film, tanto da definirsi un “turista di lusso”. Una Parigi che lo riaccoglierà nel suo ultimo viaggio e che non lo dimenticherà mai.

“Oggi è il mio compleanno. Compio settantadue anni. Be’, è una bella età. Quando ne avevo venti, immaginando un uomo di settantadue anni, l’avrei visto come un vecchio bacucco. Ma io non mi sento così vecchio. Forse perché ho avuto la fortuna di lavorare, senza sosta. Credo di aver superato i centosettanta film: un bel record. Quindi l’ho ben riempita, la mia vita. Mi posso contentare. Insisto: sono fortunato.“

Forse potrebbe essere questa la risposta di Mastroianni alla domanda che si poneva Guido Anselmi: la dedizione al suo lavoro di attore con quel suo tocco unico di leggerezza.
Leggerezza che gli faceva dire senza problemi una delle frasi più belle della storia del cinema all’interno di Oci Ciornie di Nikita Michalkov: “… e dopo tanto tempo, quella sera, mi addormentai senza il peso della mia coscienza”. 


 
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