La maturità cambia di nuovo, ma stavolta lo fa restituendo centralità a ciò che in fondo dovrebbe contare davvero: l’esame. È questo il senso della revisione voluta dal Ministero dell’Istruzione e del Merito per l’Esame di Stato 2025. Una riforma tecnica, all’apparenza minore, ma che modifica il baricentro della valutazione.
Maturità 2025, la riscossa delle prove: meno peso al percorso scolastico, più fiducia nell’esame
Dopo anni in cui il percorso scolastico ha rappresentato l’elemento più rilevante nella definizione del punteggio finale, la bilancia si sposta: peseranno di più le due prove scritte e il colloquio, in una logica che premia la prestazione, il merito, la capacità di affrontare una verifica strutturata. L’esame, insomma, torna al centro. E con esso, la necessità di saper dimostrare davvero ciò che si è appreso.
Il nuovo schema prevede un massimo di 100 punti. Di questi, 40 saranno assegnati al credito scolastico (contro i 60 previsti negli ultimi anni), 20 all’orale e 40 alle due prove scritte, equamente suddivisi tra italiano e la disciplina d’indirizzo. Una decisione che mira a riequilibrare la valutazione, rendendo meno determinante il “passato” scolastico e più significativo il “presente” dell’esame. Una scelta che il Ministero difende come coerente con la necessità di riportare il sistema su binari di oggettività. Ma che, inevitabilmente, riapre un dibattito pedagogico e sociale che in Italia è sempre vivo: quello sul merito, sulla giustizia delle prove standardizzate, sulla reale equità di un modello che valuta tutti con lo stesso metro.
Le date e le prove
Si comincia mercoledì 19 giugno con la prima prova scritta, quella di italiano. Gli studenti potranno scegliere tra sette tracce: due di analisi del testo (tipologia A), tre di testo argomentativo (tipologia B) e due di attualità (tipologia C). Il giorno dopo, giovedì 20 giugno, sarà la volta della seconda prova, diversa per ciascun indirizzo di studi: greco al classico, matematica allo scientifico, lingue straniere nei licei linguistici, discipline tecniche negli istituti professionali e tecnici. Una prova pensata per misurare la padronanza della materia caratterizzante, quella che — almeno sulla carta — distingue davvero un percorso dall’altro.
A seguire, le commissioni, formate da sei membri interni e un presidente esterno, inizieranno i colloqui orali. Ogni scuola stabilirà autonomamente il calendario, ma il colloquio seguirà ovunque lo stesso schema: si parte da un materiale scelto dalla commissione (un testo, una fotografia, un problema), si prosegue con un percorso interdisciplinare, si passa poi all’analisi dell’esperienza PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) e si chiude con l’educazione civica. Una struttura pensata per valorizzare non solo la conoscenza, ma anche la capacità di collegare, riflettere, argomentare. Il tutto in circa 45 minuti.
Un dibattito che va oltre la scuola
Ma dietro i numeri e le tracce si muove un confronto che riguarda il senso stesso della scuola e la sua funzione nella società contemporanea. Per alcuni, ridurre il peso del percorso scolastico significa indebolire il valore della formazione continua, privilegiando la performance episodica. Per altri, è un atto di giustizia: si restituisce dignità alla prova, si chiede agli studenti di dimostrare davvero le proprie competenze, si rifiuta l’idea che la maturità sia un automatismo. In mezzo, c’è la realtà di una scuola italiana che fatica a conciliare inclusione e selezione, sostegno e valutazione, attenzione ai più fragili e necessità di definire criteri chiari e trasparenti.
La scelta del Ministero si inserisce in una visione che, fin dal cambio di nome — “Ministero dell’Istruzione e del Merito” — ha voluto segnare una discontinuità. Il rischio è di produrre un effetto pendolo, con una sovracorretta insistenza sulla misurazione, che non sempre tiene conto delle condizioni di partenza. Ma c’è anche, in questa nuova maturità, un messaggio educativo: il sapere conta, la capacità di argomentare è centrale, l’impegno scolastico deve avere una verifica esterna. E questo vale tanto per chi aspira al 100 quanto per chi vuole semplicemente chiudere un percorso.
Il significato di un passaggio
In fondo, l’Esame di Stato resta per tutti — docenti, studenti, famiglie — un momento carico di significati. È il confine tra adolescenza e responsabilità, tra scuola e mondo. È una prova che, nel bene e nel male, lascia il segno. Ed è anche il simbolo di un patto sociale: quello che lega lo Stato ai suoi giovani cittadini nel momento in cui chiede loro, per l’ultima volta, di mostrare chi sono. Renderlo più serio, più centrato sulle competenze, più orientato alla valutazione, può aiutare a ridare credibilità a quel patto. Purché si sappia accompagnare ogni studente, senza retorica ma con fiducia, nel percorso che lo porterà, quel giorno di giugno, a mettersi in gioco davvero.