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Media: il 73% delle giornaliste vittime di violenza online

- di: Brian Green
 
Media: il 73% delle giornaliste vittime di violenza online
Quasi tre giornaliste donne su quattro, ovvero il 73%, affermano di essere state vittime di violenza online: è quanto si legge in uno studio, su base mondiale, commissionato dall'Unesco e prodotto dal Centro internazionale dei giornalisti. Secondo lo stesso studio, il 20 per cento delle intervistate ha detto di avere subito un ''prolungamento'' di tali attacchi anche nella loro vita personale.
La violenza online contro le donne giornaliste, secondo l'Unesco, si concretizza anche in "attacchi su larga scala o minacce estreme".

Lo studio globale, condotto nell'ottobre 2020, include un sondaggio su 901 giornaliste di 125 Paesi supportati da 173 interviste approfondite, 15 casi di studio nazionali e analisi di oltre 2,5 milioni di post su Facebook e Twitter rivolti a due giornalisti investigativi, la britannica Carole Cadwalladr e la filippina americana Maria Ressa, vincitrice 2021 del Premio mondiale per la libertà di stampa Unesco / Guillermo Cano.

"La misoginia si aggiunge ad altre forme di discriminazione: le giornaliste nere, lesbiche o religiose, ad esempio, subiscono molte più discriminazioni", osserva Saorla McCabe, consulente dell'Unesco per lo sviluppo delle comunicazioni, informazione e media. Quando il 64% delle giornaliste bianche afferma di aver subito violenza online, questo tasso salta all'81% per le giornaliste nere. Stessa osservazione per quanto riguarda l'orientamento sessuale: gli attacchi online hanno colpito il 72% delle giornaliste eterosessuali, contro l'88% delle giornaliste lesbiche.

Gli attacchi subiti dalle giornaliste, secondo Saorla McCabe, sono "sessisti o sessualizzati" e "molto spesso focalizzati su caratteristiche personali, come il loro fisico, la loro origine etnica o culturale, piuttosto che sul contenuto del loro lavoro".
Questi attacchi determinano conseguenze sull'equilibrio mentale, come sostiene il 26 per cento delle intervistate (alcune delle quali lamentano una condizione di stress post-traumatico), con il rischio concreto di autocensura nelle attività sui social network.
Da qui, secondo lo studio dell'Unesco, la questione della responsabilità dei social network, individuati come "i principali vettori" di questa cyberviolenza, essendo Facebook e Twitter i più utilizzati dai giornalisti.
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