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Meloni tra Trump, attacchi sessisti e titoli istituzionali: “Sono il Presidente del Consiglio. E resto leale a Donald”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Meloni tra Trump, attacchi sessisti e titoli istituzionali: “Sono il Presidente del Consiglio. E resto leale a Donald”
Giorgia Meloni non arretra. Non sul piano simbolico, non su quello linguistico, e tanto meno su quello politico. Perché se c’è una parola che la definisce, anche nel pieno della turbolenza internazionale, è coerenza. “La lealtà non è un dettaglio”, dice. E lo ribadisce proprio nei giorni in cui le relazioni internazionali si ricompongono lungo assi non sempre lineari. A chi le chiede perché continui a rivendicare il rapporto personale e politico con Donald Trump, tornato alla Casa Bianca per il suo secondo mandato, lei risponde con una scrollata di spalle: “Perché non ho cambiato idea. E perché rispetto i legami autentici”.

Meloni tra Trump, attacchi sessisti e titoli istituzionali

Ma in Italia, dove la battaglia semantica è tutt’altro che secondaria, è su un altro fronte che la premier accende il dibattito: la scelta di farsi chiamare “il Presidente del Consiglio”. Non “la”. Nonostante sia la prima donna a guidare il governo della Repubblica, Meloni difende il titolo al maschile come affermazione del ruolo, non del genere. “Non sono qui per essere la prima donna, sono qui per essere il presidente. Il capo dell’esecutivo. E lo rivendico”. Una postura che incarna la cifra del suo stile: rifiuto del politically correct, rifiuto della semplificazione, tensione continua verso l’autorevolezza. Anche se per molti – nel centrosinistra e non solo – suona come un tentativo di mascherare, dietro la grammatica, una leadership che fatica a parlare alle donne.

L’offensiva sessista e la resistenza pubblica

Che il suo sia un governo discusso, contestato e spesso divisivo, è fuor di dubbio. Ma Meloni, negli ultimi giorni, ha voluto denunciare con forza il livello degli attacchi ricevuti, sottolineando la componente sessista che ancora accompagna molte delle critiche. “Un uomo non verrebbe mai messo alla berlina per come veste o per come parla”, ha detto in un’intervista che ha fatto il giro delle redazioni. “A me invece capita ogni giorno”. Non una lamentela, precisa, ma una constatazione. E, forse, un monito: “Non mi lascio intimidire da chi pensa che basti l’insulto per fermare chi ha ottenuto il consenso”.

Trump, l’alleato strategico e il vincolo personale

Sul piano internazionale, intanto, la partita si riapre. Con Donald Trump nuovamente presidente degli Stati Uniti, Meloni sa di potersi giocare un ruolo di rilievo nel nuovo scenario transatlantico. Non solo perché ha sempre rivendicato una sintonia con il tycoon – sui temi della sovranità, della sicurezza, del rapporto con la Russia – ma perché in Europa rappresenta una delle poche leader capaci di parlare con Washington senza ambiguità. Il problema, semmai, sarà gestire l’equilibrio con gli altri partner europei, da Macron a Scholz, che su Trump mantengono un approccio molto più prudente. Lei invece no: “È tornato in carica e merita rispetto”.

Lo scenario interno e le sfide in arrivo

Mentre la premier rafforza il suo profilo sullo scacchiere globale, in Italia si aprono crepe anche tra gli alleati. Il pressing leghista sulle autonomie, le tensioni con Forza Italia sulla giustizia, il malumore crescente tra le categorie produttive: segnali che l’unità di maggioranza non è scontata. E che la figura del Presidente – come Meloni vuole essere chiamata – dovrà dimostrare, ancora una volta, di saper reggere il peso della responsabilità. Senza appoggiarsi su formule retoriche, ma sul consenso concreto.

Un governo sotto assedio, una leader sotto osservazione

Il caso Meloni non è solo politico. È un caso culturale, identitario, simbolico. Il modo in cui il dibattito la descrive – tra “signora Fratelli d’Italia” e “presidente del Consiglio” – racconta ancora quanto in Italia la leadership femminile venga vissuta come eccezione, non come normalità. E lei, che su questa anomalia ha costruito parte del suo successo, ora cerca di trasformarla in norma. Al costo anche di spiazzare, di forzare, di spingere oltre il limite. Perché, come ama ripetere, “io sono Giorgia. E non ho nulla da chiedere. Solo da fare”.
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