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Napoli, città ad alta pressione. Cosa c’è dietro l’esplosione in un palazzo di cinque piani

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Napoli, città ad alta pressione. Cosa c’è dietro l’esplosione in un palazzo di cinque piani

L’esplosione in via Peppino De Filippo ha ucciso un uomo di 55 anni e ferito altre quattro persone. È successo in un palazzo di cinque piani nel cuore di Napoli, in una zona fitta, popolare, abitata da famiglie, anziani, studenti. Le indagini sono ancora in corso, ma l’ipotesi principale è quella di una fuga di gas da una bombola. Non ci sono elementi, al momento, che facciano pensare a un gesto doloso. Eppure, al di là della singola dinamica, la scena non è nuova. Negli ultimi cinque anni, solo nell’area metropolitana, si contano oltre trenta casi analoghi tra esplosioni, incendi domestici e crolli parziali. E dietro a ogni boato c’è un sistema fragile.

Napoli, città ad alta pressione. Cosa c’è dietro l’esplosione in un palazzo di cinque piani

Il patrimonio edilizio napoletano è tra i più datati d’Europa. Più della metà degli edifici del centro città è stato costruito prima del 1945. Molti senza alcun adeguamento agli standard antisismici o di sicurezza. Gli impianti del gas – dove presenti – spesso non rispettano le norme attuali, e nei condomini più piccoli, le bombole sono ancora largamente utilizzate. In mancanza di piani di manutenzione strutturata, tutto viene affidato all’iniziativa dei singoli amministratori o alle richieste degli inquilini. Ma i fondi scarseggiano, le morosità aumentano, e il rischio viene diluito, fino al giorno in cui diventa tragedia.

L’abusivismo nascosto e quello tollerato
Accanto alla vetustà legale, esiste una città sommersa. Secondo dati dell’Agenzia delle Entrate, oltre 70 mila unità immobiliari in Campania sono prive di certificazione catastale conforme. A Napoli, secondo i rilievi del Comune aggiornati al 2023, almeno 6.500 costruzioni presentano irregolarità gravi. Alcune sono vere e proprie abitazioni abusive. Altre sono locali tecnici trasformati in miniappartamenti, sottotetti non abitabili divenuti mansarde a pagamento, scantinati in cui si dorme. In questi spazi, la sicurezza è una variabile arbitraria. E le verifiche, salvo esposti formali o interventi d’urgenza, arrivano sempre troppo tardi.

Gli allarmi che non bastano
Ogni volta che succede qualcosa – una fuga di gas, un soffitto che crolla, una parete che si apre – si parla di prevenzione. Ma i controlli strutturali sono a campione, e in una città con decine di migliaia di edifici a rischio, significa agire sull’1%. L’ultimo piano comunale di sicurezza edilizia risale al 2019. Da allora sono state fatte revisioni parziali, ma senza copertura economica stabile. Le richieste dei tecnici e degli ordini professionali rimangono quasi sempre lettera morta. Gli amministratori di condominio raccontano che nelle assemblee di quartiere si vota per non spendere. E il principio che prevale è: “Finché non succede, si fa finta di niente”.

Quando la casa diventa un rischio quotidiano

La tragedia di via Peppino De Filippo non è l’eccezione. È parte di un panorama in cui vivere in una casa può significare abitare dentro un potenziale detonatore. L’uomo che è morto viveva da solo, secondo alcuni in difficoltà economiche, forse in uno degli ultimi appartamenti dove si usa ancora la bombola da cucina. Se confermato, è un dettaglio significativo. Perché mentre si discute di rigenerazione urbana, ci sono zone dove il tempo si è fermato. Dove si accende il gas senza sapere se i tubi tengono. Dove le finestre si affacciano sul crollo di ieri e sulla paura di domani.

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