L’esplosione in via Peppino De Filippo ha ucciso un uomo di 55 anni e ferito altre quattro persone. È successo in un palazzo di cinque piani nel cuore di Napoli, in una zona fitta, popolare, abitata da famiglie, anziani, studenti. Le indagini sono ancora in corso, ma l’ipotesi principale è quella di una fuga di gas da una bombola. Non ci sono elementi, al momento, che facciano pensare a un gesto doloso. Eppure, al di là della singola dinamica, la scena non è nuova. Negli ultimi cinque anni, solo nell’area metropolitana, si contano oltre trenta casi analoghi tra esplosioni, incendi domestici e crolli parziali. E dietro a ogni boato c’è un sistema fragile.
Napoli, città ad alta pressione. Cosa c’è dietro l’esplosione in un palazzo di cinque piani
Il patrimonio edilizio napoletano è tra i più datati d’Europa. Più della metà degli edifici del centro città è stato costruito prima del 1945. Molti senza alcun adeguamento agli standard antisismici o di sicurezza. Gli impianti del gas – dove presenti – spesso non rispettano le norme attuali, e nei condomini più piccoli, le bombole sono ancora largamente utilizzate. In mancanza di piani di manutenzione strutturata, tutto viene affidato all’iniziativa dei singoli amministratori o alle richieste degli inquilini. Ma i fondi scarseggiano, le morosità aumentano, e il rischio viene diluito, fino al giorno in cui diventa tragedia.
L’abusivismo nascosto e quello tollerato
Accanto alla vetustà legale, esiste una città sommersa. Secondo dati dell’Agenzia delle Entrate, oltre 70 mila unità immobiliari in Campania sono prive di certificazione catastale conforme. A Napoli, secondo i rilievi del Comune aggiornati al 2023, almeno 6.500 costruzioni presentano irregolarità gravi. Alcune sono vere e proprie abitazioni abusive. Altre sono locali tecnici trasformati in miniappartamenti, sottotetti non abitabili divenuti mansarde a pagamento, scantinati in cui si dorme. In questi spazi, la sicurezza è una variabile arbitraria. E le verifiche, salvo esposti formali o interventi d’urgenza, arrivano sempre troppo tardi.
Gli allarmi che non bastano
Ogni volta che succede qualcosa – una fuga di gas, un soffitto che crolla, una parete che si apre – si parla di prevenzione. Ma i controlli strutturali sono a campione, e in una città con decine di migliaia di edifici a rischio, significa agire sull’1%. L’ultimo piano comunale di sicurezza edilizia risale al 2019. Da allora sono state fatte revisioni parziali, ma senza copertura economica stabile. Le richieste dei tecnici e degli ordini professionali rimangono quasi sempre lettera morta. Gli amministratori di condominio raccontano che nelle assemblee di quartiere si vota per non spendere. E il principio che prevale è: “Finché non succede, si fa finta di niente”.
Quando la casa diventa un rischio quotidiano
La tragedia di via Peppino De Filippo non è l’eccezione. È parte di un panorama in cui vivere in una casa può significare abitare dentro un potenziale detonatore. L’uomo che è morto viveva da solo, secondo alcuni in difficoltà economiche, forse in uno degli ultimi appartamenti dove si usa ancora la bombola da cucina. Se confermato, è un dettaglio significativo. Perché mentre si discute di rigenerazione urbana, ci sono zone dove il tempo si è fermato. Dove si accende il gas senza sapere se i tubi tengono. Dove le finestre si affacciano sul crollo di ieri e sulla paura di domani.