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Cina, ottobre al rallentatore: industria, consumi e mattone

- di: Bruno Coletta
 
Cina, ottobre al rallentatore: industria, consumi e mattone
Cina, ottobre al rallentatore: industria, consumi e mattone
Un mese di dati deboli riaccende i timori su crescita e deflazione.

La Cina entra nell’ultima parte del 2025 con un motore che gira, ma sempre più a regime ridotto. A ottobre la produzione industriale, i consumi e soprattutto gli investimenti fissi hanno mandato un segnale chiaro: la seconda economia del mondo sta perdendo velocità proprio mentre Pechino insiste sulla narrativa della “stabilizzazione” e punta a centrare l’obiettivo di crescita annua intorno al 5%.

Il quadro che emerge dagli ultimi dati ufficiali è quello di una ripresa fragile e sbilanciata, appesantita dal rallentamento dell’export, da una campagna di incentivi ai consumi ormai a fine corsa e da una crisi immobiliare che continua a erodere ricchezza e fiducia di famiglie e imprese.

Produzione industriale al minimo da oltre un anno

La produzione industriale cinese è cresciuta a ottobre del 4,9% su base annua, un netto rallentamento rispetto al 6,5% di settembre e al di sotto delle attese degli analisti, che guardavano a un incremento intorno al 5,5%. Si tratta del ritmo più debole da oltre un anno, un segnale che la fabbrica del mondo sta iniziando a prendere colpi sia sul fronte interno sia su quello esterno.

Le autorità hanno spiegato che la frenata è legata in parte alla lunga pausa festiva di inizio mese e in parte alla debolezza della domanda globale, compressa dalle tensioni commerciali e dall’ondata di dazi e barriere non tariffarie in arrivo da più Paesi. Nelle parole di un portavoce dell’Ufficio nazionale di statistica, citato dalla stampa cinese, il contesto esterno resta “gravoso e incerto”, mentre la concorrenza domestica si intensifica e rende le imprese più caute nel pianificare nuovi investimenti.

Non tutto, però, si muove alla stessa velocità. Se il manifatturiero nel suo complesso rallenta, alcuni comparti ad alta tecnologia continuano a correre: automotive, aerospazio, semiconduttori e robotica mantengono tassi di crescita a doppia cifra, confermando che Pechino sta provando a spostare il baricentro della crescita sulle filiere “del futuro”.

Consumi freddi nonostante Golden Week e Singles Day

Ancora più delicato è il quadro dei consumi interni. A ottobre le vendite al dettaglio sono salite appena del 2,9% annuo, in calo rispetto al 3% di settembre e al livello più basso da oltre un anno. Un dato che fa rumore perché il mese era sostenuto da una Golden Week insolitamente lunga e dalla lunga maratona promozionale che porta al Singles Day dell’11 novembre, ormai trasformatosi in una stagione di sconti che dura settimane.

Il dettaglio settoriale racconta una storia ancora più eloquente. Tra i beni durevoli, le vendite di auto sono scese di circa il 6–7% su base annua, interrompendo una sequenza di mesi positivi e deludendo le attese di una corsa finale in vista della fine di alcuni incentivi fiscali. Ancora più marcato il tonfo di elettrodomestici e apparecchiature audio-video, con cali nell’ordine del 14–15%.

Le piattaforme di e-commerce hanno registrato volumi non trascurabili durante il Singles Day, ma diversi report sottolineano che il boom degli anni passati è lontano: gli sconti si sono fatti più aggressivi, ma molti consumatori hanno scelto di risparmiare anziché spendere, segno che l’incertezza per redditi e lavoro continua a pesare.

In parallelo, i prezzi restano sotto pressione. A ottobre l’inflazione al consumo è rimasta molto bassa, mentre i prezzi alla produzione – pur risaliti leggermente dai minimi – continuano a muoversi in un’area che alimenta i timori di pressioni deflazionistiche.

Investimenti fissi in calo e immobiliare in caduta libera

Il cuore del problema, però, pulsa negli investimenti in immobilizzazioni materiali. Nei primi dieci mesi dell’anno, gli investimenti fissi complessivi risultano in contrazione dell’1,7% su base annua, un peggioramento evidente rispetto al -0,5% registrato nei dati cumulati a settembre. È il calo più marcato dai tempi della pandemia e colpisce sia il settore privato sia quello pubblico.

Ancora più significativo il dettaglio per comparti. Il tassello infrastrutture, tradizionale cavallo di battaglia dello stimolo cinese, mostra una lieve ma simbolica flessione di circa lo 0,1%, la prima dal 2020. Gli investimenti nel manifatturiero restano in territorio positivo ma rallentano vistosamente, con la componente privata che risulta in calo di oltre il 4% dall’inizio dell’anno secondo varie stime, segno di una fiducia imprenditoriale in erosione.

Il vero tallone d’Achille rimane però il settore immobiliare. I dati cumulati gennaio-ottobre indicano un crollo degli investimenti nel mattone nell’ordine del 14–15% su base annua. Analisi indipendenti mostrano che, considerando il solo mese di ottobre, la spesa per lo sviluppo residenziale è scesa di quasi il 20% rispetto a un anno prima.

L’Ufficio nazionale di statistica ha riconosciuto apertamente che la flessione del real estate ha sottratto circa tre punti percentuali alla crescita complessiva degli investimenti, sottolineando che il Paese deve abituarsi a una fase di “nuovo equilibrio” dopo anni di boom edilizio alimentato dal debito.

La correzione dei prezzi delle abitazioni è altrettanto marcata. In ottobre i nuovi prezzi delle case nelle principali città sono scesi di circa lo 0,5% su base mensile, il calo più rapido da un anno, mentre nel mercato dell’usato le discese sono ancora più profonde. In molte città di seconda e terza fascia si registrano riduzioni dal 20 al 30% rispetto ai picchi, con casi sempre più frequenti di famiglie finite in equity negativa, con mutui superiori al valore dell’immobile.

Il risultato è un potente effetto ricchezza al contrario: famiglie che vedono assottigliarsi il patrimonio immobiliare tagliano le spese, rinviano acquisti importanti e si tengono lontane da nuovi debiti. Una dinamica che, a catena, pesa su consumi, occupazione nei servizi e fiducia complessiva.

Cosa dicono analisti e banchieri centrali

Gli economisti leggono i dati di ottobre come la conferma che la Cina sta entrando nell’ultima parte dell’anno con un’economia che non crolla, ma perde quota. Secondo alcune analisi internazionali, la combinazione di produzione in frenata, investimenti deboli e consumi tiepidi disegna l’immagine di un “motore che gira al minimo”, tenuto in vita dalla tecnologia e dall’export residuo, ma zavorrato da mattone e debito locale.

Alicia Garcia Herrero, capo economista per l’Asia Pacifico di Natixis, da tempo avverte che la deflazione rischia di diventare un freno permanente alla propensione a investire. In un recente commento, la stessa economista ha sintetizzato così il nodo centrale per il 2025: “Pressioni deflazionistiche persistenti finiscono per raffreddare l’appetito per nuovi progetti e pesano sul sentiment degli investitori”, ricordando che un’ulteriore dipendenza da investimenti pubblici e industria pesante rischia di accentuare gli squilibri invece di correggerli.

Dalla parte delle autorità, il messaggio ufficiale continua a sottolineare che la fase attuale è parte di una transizione verso un modello più orientato ai consumi e ai settori ad alta tecnologia. I portavoce del governo parlano di “enorme potenziale di investimento ancora da liberare” e insistono su un uso mirato delle politiche fiscali e monetarie, evitando per ora un grande pacchetto di stimolo in stile 2008-2009.

La banca centrale ha mantenuto un approccio graduale: tassi guida solo leggermente più bassi, un cambio gestito con attenzione per evitare fughe di capitali e una serie di misure mirate a supportare credito a PMI e settori strategici. Il problema, sottolineano diversi analisti, è che la domanda di credito non decolla: le banche possono anche essere incoraggiate a prestare, ma imprese e famiglie restano prudenti.

La reazione dei mercati: Borse giù, materie prime nervose

La pubblicazione dei dati ha avuto un impatto immediato sui mercati finanziari della regione. Le Borse di Shanghai, Shenzhen e Hong Kong hanno chiuso in rosso nella seduta successiva alla diffusione delle statistiche, con cali vicini o superiori all’1% sugli indici principali, freddate dalle prospettive di crescita più debole e dalla nuova ondata di vendite sui titoli immobiliari.

Anche le materie prime hanno reagito: il rame, spesso considerato un termometro dell’attività industriale cinese, ha perso terreno sui mercati internazionali dopo i numeri di Pechino, mentre il cambio tra yuan e dollaro ha mostrato una volatilità contenuta ma crescente, complice il persistente differenziale di tassi con gli Stati Uniti.

Il sentiment globale resta diviso: da un lato chi vede nella Cina un rallentamento “gestibile”, compatibile con una crescita ancora attorno al 5% nel 2025; dall’altro chi teme che il mix di crisi immobiliare, debito locale elevato e demografia sfavorevole possa trasformare la fase attuale in una stagnazione di lungo periodo, con ripercussioni su commercio mondiale, catene del valore e profitti delle multinazionali esposte al mercato cinese.

Da fabbrica del mondo a economia guidata dai consumi?

Al di là delle oscillazioni mese per mese, la vera partita si gioca sul modello di crescita. Per decenni la Cina ha potuto contare su un mix esplosivo di investimenti pubblici, credito abbondante e domanda estera in espansione. Ora tutti e tre questi pilastri mostrano crepe: i governi locali sono appesantiti da debiti difficili da rifinanziare, l’export è esposto a un clima geopolitico più ostile e i vecchi progetti infrastrutturali non garantiscono più i ritorni di un tempo.

Pechino ha messo nero su bianco l’obiettivo di aumentare in modo significativo il peso dei consumi delle famiglie sul Pil, ma la strada è in salita: occorre rafforzare la rete di welfare, redistribuire reddito verso i nuclei meno abbienti, stimolare in modo più diretto la spesa delle famiglie e, soprattutto, ricostruire la fiducia nel futuro dopo anni di incertezza pandemica e turbolenze nel real estate.

Il rischio, secondo molti osservatori, è che la Cina resti intrappolata in un ibrido poco efficiente: abbastanza stimolo da evitare un brusco atterraggio, ma non sufficiente a sciogliere gli squilibri strutturali; abbastanza riforme da alimentare tensioni sociali e politiche, ma non abbastanza radicali da rilanciare in modo duraturo crescita e produttività.

Cosa guardare nei prossimi mesi

I dati di ottobre saranno la base da cui gli investitori internazionali e le imprese globali valuteranno le prossime mosse di Pechino. Alcuni punti chiave da monitorare:

  • l’andamento della domanda interna nelle festività di fine anno e nel Capodanno lunare;
  • eventuali nuovi pacchetti di stimolo mirati alle famiglie, oltre agli incentivi al rinnovo di auto ed elettrodomestici;
  • la gestione della crisi immobiliare, tra ristrutturazioni del debito dei costruttori, fusioni assistite e sostegno ai governi locali più esposti;
  • le scelte di politica monetaria della banca centrale, strette tra la necessità di sostenere l’economia e il rischio di fughe di capitali in caso di allargamento eccessivo del differenziale di tassi con gli Stati Uniti;
  • le ricadute sul commercio mondiale, in particolare per l’Europa e l’Italia, che restano esposte sia alla domanda cinese di beni di investimento e di lusso, sia alla concorrenza dei prodotti cinesi a basso costo sui mercati globali.

Per ora, il messaggio che arriva da Pechino è chiaro: niente panico, ma neppure euforia. L’economia cinese continua a crescere, ma la fase del “miracolo” a doppia cifra è alle spalle. A ottobre, i numeri ricordano che trasformare un colosso manifatturiero in un’economia trainata dai consumi è un esercizio delicato, che richiede tempo, coerenza e una buona dose di coraggio politico.

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