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Pnrr e trasparenza istituzionale: opposizioni alzano la voce e chiedono risposte

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Pnrr e trasparenza istituzionale: opposizioni alzano la voce e chiedono risposte

Non è più tempo di slide e messaggi rassicuranti. A Palazzo Montecitorio, le opposizioni hanno alzato il tono dello scontro. Dopo settimane di notizie frammentarie, analisi critiche e un crescente senso di opacità, è arrivato un invito netto: Giorgia Meloni salga in Parlamento e spieghi lo stato del Pnrr. Un appello trasversale, condiviso da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Azione, Italia Viva e Alleanza Verdi e Sinistra. Tutti, nel corso della seduta alla Camera, hanno reclamato un confronto vero, diretto, trasparente, invocando una delle prerogative fondamentali della democrazia parlamentare: l’informazione pubblica sugli atti del governo.

Pnrr e trasparenza istituzionale: opposizioni alzano la voce e chiedono risposte

“Il Pnrr non può essere gestito come un dossier riservato”, ha detto Piero De Luca, del Pd (nella foto). “Non si tratta di uno strumento tecnico, ma della più grande opportunità economica per il Paese, che coinvolge enti locali, imprese, famiglie. È in gioco la credibilità dell’Italia in Europa. È in gioco il futuro di una generazione”.

I numeri che parlano più delle dichiarazioni

A fine febbraio 2023, secondo i dati forniti dal governo, erano stati spesi 25,74 miliardi di euro. Un anno dopo, al 30 settembre 2024, la Corte dei Conti ha calcolato una spesa effettiva di circa 57,7 miliardi. Il totale previsto dal Pnrr aggiornato è di 194,4 miliardi. In pratica, in quasi tre anni l’Italia ha speso poco meno del 30% delle risorse disponibili. Da qui nasce il sospetto — o forse la certezza — che i tempi non siano più compatibili con la tabella di marcia originaria.

La stessa Corte dei Conti ha lanciato l’allarme: per rispettare gli impegni entro il 2026, il nostro Paese dovrebbe spendere nei prossimi due anni una cifra ben superiore a quanto fatto finora, almeno 17 miliardi in più rispetto alla media programmata. Un’impresa che appare fuori scala, considerati i ritardi accumulati nei territori e l’inefficienza amministrativa di molti enti attuatori.

Il dato più emblematico è che in 79 casi su 100 il livello di spesa effettiva per i progetti è ancora sotto il 25%. E non parliamo di opere minori. Ci sono scuole da riqualificare, asili nido da costruire, ferrovie da potenziare, digitalizzazioni ancora in fase embrionale.

La difesa di Palazzo Chigi e la promessa di una relazione

Alla Camera, il sottosegretario all’Economia Federico Freni ha provato a rassicurare gli animi. “Oggi stesso — ha detto — si riunirà la cabina di regia a Palazzo Chigi. Nella prossima settimana sarà trasmessa al Parlamento la relazione semestrale sullo stato di attuazione del Piano”. Ma la sensazione, tra i banchi dell’opposizione, è che l’esecutivo stia guadagnando tempo, evitando un confronto diretto e pieno, affidandosi a documenti formali senza un reale dibattito pubblico.

Il nodo centrale resta quello della trasparenza. L’ipotesi, mai confermata ufficialmente, di una richiesta di proroga alla Commissione europea fino al 2027 agita non solo il fronte interno, ma anche quello internazionale. L’Italia ha ricevuto sinora il 63% delle risorse previste dal Next Generation EU, ben al di sopra della media europea del 48%. Ha anche centrato 39 obiettivi nel primo semestre 2024. Ma questi risultati non bastano se a mancare è la messa a terra delle opere, la trasformazione delle risorse in cantieri, servizi, posti di lavoro.

Lo scenario politico e la posta in gioco per Meloni

Per Giorgia Meloni, la partita Pnrr è anche una questione di leadership. Sin dal suo insediamento ha cercato di appropriarsi della narrazione positiva del Piano, che pure era nato sotto la regia di Mario Draghi. Ha rivendicato la capacità di revisione, ha sottolineato il rafforzamento della governance, ha difeso le modifiche negoziate con Bruxelles. Ma ora si trova di fronte a un bivio: gestire un’eredità tecnica con gli strumenti della politica, o lasciare che la complessità amministrativa diventi un alibi per i ritardi.

Nel frattempo, i territori aspettano. I sindaci denunciano ritardi nei bandi, cambi di normativa, difficoltà nel trovare personale tecnico per la progettazione. Le imprese lamentano l’assenza di una visione chiara sugli investimenti infrastrutturali. I cittadini si chiedono dove finiscano i fondi promessi.

Il prossimo passaggio, la relazione semestrale annunciata per la prossima settimana, sarà un momento decisivo. Non basterà elencare obiettivi e milestone. Servirà uno sforzo di verità. Un esercizio di responsabilità. Perché in gioco non c’è solo la riuscita di un piano. C’è la tenuta di una stagione politica intera.

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