Petrolio in volo, poi lo scivolone
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

La reazione dei mercati al nuovo fronte di crisi tra Iran e Israele non si è fatta attendere. I prezzi del petrolio hanno registrato nelle prime ore di contrattazione un’impennata superiore al 4%, per poi assestarsi sotto quota 78 dollari al barile per il Brent, benchmark di riferimento mondiale. Il timore immediato, paventato da più analisti, è quello della chiusura dello stretto di Hormuz, corridoio strategico attraverso cui transita circa un terzo del greggio mondiale trasportato via mare. Ogni tensione militare nella regione del Golfo ha un riflesso diretto sulle quotazioni dell’oro nero e rischia di trasformarsi in uno shock energetico globale.
Petrolio in volo, poi lo scivolone
L’incertezza geopolitica ha influenzato anche le Borse asiatiche, che hanno aperto in territorio contrastato. Tokyo ha mostrato segnali di cautela, Hong Kong ha registrato una leggera perdita, mentre Shanghai è rimasta pressoché stabile. L’effetto combinato tra l’instabilità in Medio Oriente e i timori per l’economia cinese, ancora in fase di rallentamento strutturale, ha alimentato la volatilità. I future di Wall Street sono in calo, con il Dow Jones e il Nasdaq che indicano aperture negative, alimentate sia dai fattori internazionali sia da un nuovo raffreddamento delle aspettative sulla politica monetaria della Fed.
I timori per il traffico nello stretto di Hormuz
Al centro delle preoccupazioni resta la vulnerabilità logistica dello stretto di Hormuz, passaggio obbligato per oltre 20 milioni di barili al giorno. L’eventualità di una sua chiusura totale o parziale, per effetto di un’azione militare iraniana in risposta agli attacchi israeliani, viene presa molto sul serio dai governi e dagli operatori di mercato. Gli Stati Uniti hanno rafforzato la presenza navale nell’area per garantire la libertà di navigazione, ma la tensione è elevata. Un’escalation potrebbe portare a un rincaro duraturo dei prezzi, spingendo l’inflazione globale verso nuovi picchi.
Le implicazioni economiche per l’Europa e i paesi importatori
Per l’Unione Europea, già provata dal ridimensionamento delle forniture di gas russo, uno shock petrolifero in Medio Oriente rappresenterebbe un colpo durissimo. Le economie importatrici, tra cui l’Italia, rischiano un aumento immediato dei costi energetici per famiglie e imprese, mentre si allontana la prospettiva di una stabilizzazione dell’inflazione. Il nodo energetico torna così al centro delle strategie politiche ed economiche. Gli analisti più prudenti invitano a non trarre conclusioni affrettate, ma i movimenti iniziali sui mercati indicano una forte reattività rispetto a ogni notizia proveniente dalla regione del Golfo.
Il ruolo dell’Opec e le prossime mosse sui tagli alla produzione
L’Opec, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, sta monitorando la situazione con attenzione. Le recenti decisioni di mantenere tagli alla produzione in un contesto di domanda ancora incerta avevano già ridotto l’offerta disponibile. Ora, se la crisi dovesse aggravarsi, il cartello potrebbe trovarsi a dover riconsiderare le proprie strategie. Alcuni paesi membri, come l’Arabia Saudita e gli Emirati, sono in posizione ambigua: da un lato cercano di contenere il rialzo eccessivo dei prezzi per non deprimere la domanda globale, dall’altro guardano con interesse a margini più elevati sul petrolio esportato.
Le prospettive per le prossime settimane
Nelle prossime ore gli operatori osserveranno con particolare attenzione sia gli sviluppi militari sul fronte israelo-iraniano, sia le dichiarazioni provenienti da Washington, Teheran, Tel Aviv e Mosca. Anche una minima alterazione del traffico nello stretto di Hormuz potrebbe avere effetti immediati sulle quotazioni, così come una rassicurazione diplomatica potrebbe contribuire a una correzione al ribasso. Per ora prevale la prudenza, con molti investitori che preferiscono rifugiarsi nei beni considerati sicuri, come l’oro, che ha anch’esso fatto registrare un rialzo, segnale di nervosismo diffuso.