Nel mondo dell’aviazione commerciale esiste una regola non scritta, ma potentemente interiorizzata da chi lavora nei cieli: non mostrarsi vulnerabili. Un pilota, per definizione, deve trasmettere sicurezza, lucidità, controllo. Ma cosa accade quando dietro quella compostezza si nasconde un disagio psichico, un’ansia crescente, una depressione clinica? Accade che parlarne può costare caro. Perché la normativa e i protocolli in vigore – pensati per garantire la sicurezza dei voli – finiscono spesso per rendere impossibile, o addirittura pericoloso, chiedere aiuto.
Usa: serie tv alimenta il dibattito sulla salute mentale dei piloti di aerei
Lo ha raccontato, paradossalmente, una serie comica americana (The Rehearsal) che ha centrato un nervo scoperto del settore: i piloti non possono dire di stare male, altrimenti rischiano di perdere la licenza. E se la perdono, perdono tutto. Questo paradosso crea una zona grigia in cui la salute mentale viene relegata ai margini, nascosta, taciuta. Non per irresponsabilità, ma per sopravvivenza lavorativa.
Il timore della sospensione
Nella maggior parte dei Paesi, compresa l’Italia, le normative per la sicurezza del volo prevedono che un pilota con una diagnosi psichiatrica in corso venga sospeso fino a guarigione certificata. Si tratta di una misura pensata per tutelare i passeggeri, ma che finisce per produrre un effetto collaterale rilevante: la reticenza. È difficile ammettere di soffrire di depressione, anche per chi non guida un aereo, ma per chi lo fa, l’ammissione può equivalere a un auto-licenziamento temporaneo.
Secondo alcuni studi di settore, una quota non irrilevante di piloti ha sperimentato sintomi depressivi nel corso della carriera, ma la maggior parte non ha mai fatto richiesta di supporto clinico. Il timore è che ogni segnalazione possa attivare un iter burocratico che mette in discussione l’idoneità al volo, anche in modo preventivo, anche in assenza di episodi critici. Così, il disagio viene nascosto. Una strategia di silenzio che però, nel tempo, può diventare pericolosa.
Un paradosso di sicurezza
Il sistema, costruito per garantire la massima affidabilità, rischia di produrre l’effetto contrario. Se un pilota non può confidare ai propri superiori di stare attraversando un momento difficile, per paura di essere allontanato, si crea una frattura nella fiducia reciproca che alimenta l’isolamento. Non si tratta solo di regole: si tratta di cultura professionale. In molte compagnie, l’idea stessa che un pilota possa essere depresso viene ancora vista come un’anomalia, una debolezza incompatibile con la responsabilità di condurre un aereo.
Eppure, nel mondo civile, l’attenzione alla salute mentale è cresciuta enormemente negli ultimi anni. Molti settori – dalla scuola alla sanità, dal mondo dell’impresa a quello dello sport – hanno cominciato a riconoscere la centralità del benessere psichico come componente strutturale della professionalità. L’aviazione, però, è rimasta indietro. Forse per paura. Forse per inerzia. O forse per quella cultura del silenzio che accompagna da sempre chi vola, e che considera il disagio come una turbolenza da contenere, non da affrontare.
Quando la fiction dice il vero
È significativo che a sollevare il problema sia stata una serie televisiva a metà tra satira e realismo. Nel gioco dei ruoli, un personaggio pilota confessa di non sentirsi in forma, e la reazione del sistema è immediata: sospensione, accertamenti, gelo. Il messaggio è chiaro: meglio tacere. E se è una narrazione fittizia, è anche una verità condivisa da molti operatori del settore. Lo confermano interviste e testimonianze raccolte nel tempo da chi studia la psicologia del volo. La paura di essere giudicati inadeguati spinge spesso i piloti a cercare soluzioni alternative, percorsi privati, aiuti non ufficiali.
Il fatto che sia una serie comica ad aver aperto il dibattito dice molto sullo spazio che ancora manca nei contesti formali per affrontare certi temi. La leggerezza della fiction, in questo caso, ha permesso di aggirare il muro della reticenza, facendo emergere una realtà spesso taciuta. La speranza è che anche il mondo dell’aviazione, come altri prima di lui, riconosca che la competenza non esclude la fragilità, e che un pilota sereno è un pilota più sicuro. Anche quando attraversa le proprie nuvole interiori.