Lunedì 5 maggio sono stati annunciati i vincitori del Premio Pulitzer 2025. Diciannove opere hanno ricevuto il massimo riconoscimento nelle lettere, nella saggistica, nella poesia e nel teatro. Come ogni anno, il Pulitzer non si limita a fotografare l’eccellenza della produzione culturale americana, ma traccia una mappa viva delle tensioni che attraversano il Paese: il razzismo sistemico, la riscrittura della storia, la lotta per la memoria e per l’identità, la riflessione sul trauma collettivo. La letteratura americana, nelle sue forme più diverse, si conferma specchio di un’epoca in frantumi, capace però di produrre ancora pensiero critico e narrazione profonda.
Pulitzer 2025: la scrittura come resistenza, memoria e riscrittura della storia americana
Nella sezione narrativa, a vincere è stato James di Percival Everett, un romanzo che rilegge Le avventure di Huckleberry Finn dal punto di vista di Jim, lo schiavo fuggitivo. Everett stravolge la prospettiva del classico di Mark Twain, restituendo voce e umanità a un personaggio marginalizzato dalla storia della letteratura americana. Il romanzo non è solo un gesto letterario, ma un atto politico: riscrivere significa anche riparare. In un momento in cui il dibattito sulla cancellazione o riscrittura dei testi classici divide le università e la politica, James si impone come opera necessaria e coraggiosa, capace di unire estetica e giustizia storica.
Saggistica e storia: i nodi irrisolti dell’America profonda
Due i vincitori per la saggistica storica: Native Nations di Kathleen DuVal, che racconta un millennio di storia delle popolazioni indigene in Nord America, e Combee di Edda L. Fields-Black, incentrato su Harriet Tubman e il raid sul fiume Combahee durante la Guerra Civile. Entrambe le opere si pongono in dialogo con la necessità di riscrivere la storia dal basso, mettendo al centro le voci e le vite delle comunità oppresse, spesso cancellate dalla narrazione ufficiale. Il Pulitzer conferma così la propria vocazione a premiare una scrittura che non cerca l’universalismo astratto, ma l’adesione radicale alla realtà storica, anche la più scomoda.
Teatro e poesia: il linguaggio intimo della disgregazione
In teatro, il premio va a Purpose di Branden Jacobs-Jenkins, un’opera che affronta le dinamiche familiari e generazionali all’interno di una famiglia afroamericana in ascesa, intrecciando conflitti interiori e pressioni sociali. La poesia trova la sua voce in New and Selected Poems di Marie Howe, che raccoglie testi centrati su lutto, amore e spiritualità, scritti con un tono disarmante e diretto. Entrambe le opere dimostrano che l’intimità è un luogo di elaborazione politica: il linguaggio privato può diventare spazio di resistenza, di chiarimento, di rivelazione.
La musica e il commento: confini sonori e parole dal margine
Il Pulitzer per la musica va a Sky Islands di Susie Ibarra, un’opera che fonde tradizioni filippine e contemporaneità occidentale, costruendo un paesaggio sonoro che è anche una geografia interiore e diasporica. Per il commento, è stato premiato Mosab Abu Toha, poeta palestinese che, dalle colonne del New Yorker, ha raccontato con lucidità e dolore le distruzioni di Gaza, offrendo una testimonianza che travalica i generi e si impone come documento umano. La giuria ha riconosciuto non solo il valore stilistico dei suoi scritti, ma anche la loro capacità di rompere il silenzio e restituire complessità a una tragedia spesso ridotta a numeri.
Il Pulitzer come archivio del presente e dispositivo politico
L’edizione 2025 dei Pulitzer ci dice che la letteratura americana, lungi dall’essere rifugio o ornamento, è ancora un campo di battaglia. Non premia l’evasione, ma l’assunzione di responsabilità. Non celebra la forma pura, ma la tensione tra etica e estetica. Il libro, oggi, è uno dei pochi spazi in cui è ancora possibile restituire spessore al pensiero. E i diciannove titoli premiati ne sono la prova: ognuno, a modo suo, ha forzato un margine, detto l’indicibile, attraversato la memoria per farne azione.