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Come funziona davvero il referendum confermativo

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Come funziona davvero il referendum confermativo

Non è un referendum come gli altri, quello confermativo. È uno di quei momenti in cui la Costituzione scende in piazza e chiama i cittadini a dire la loro. Stavolta, il tema sarà pesante: la riforma della giustizia, forse già in primavera. E l’arma della democrazia diretta torna a brillare, in un tempo in cui la partecipazione si misura più nei sondaggi che nelle urne.

Come funziona davvero il referendum confermativo

L’articolo 138 della Costituzione è la sua radice. Stabilisce che, quando una legge di revisione costituzionale viene approvata dal Parlamento ma senza raggiungere i due terzi dei voti in entrambe le Camere, allora – entro tre mesi – può essere chiesto il giudizio del popolo. A farlo possono essere un quinto dei parlamentari, cinquecentomila cittadini o cinque Consigli regionali. È il modo con cui la Carta assicura che i cambiamenti più delicati non passino mai nel silenzio delle aule parlamentari.

Niente quorum, ma il peso del voto

C’è una differenza cruciale rispetto al referendum abrogativo: qui non c’è quorum. Non serve raggiungere il 50% più uno degli aventi diritto per rendere valida la consultazione.
Chi vota decide. E basta la maggioranza dei voti validi per confermare o bocciare la legge costituzionale sottoposta al giudizio popolare.
Se vincono i “Sì”, la riforma entra in vigore. Se prevalgono i “No”, la legge resta lettera morta. Tutto qui, apparentemente. Ma politicamente è molto di più.

Ogni referendum confermativo, nella storia italiana, è stato anche una misura di temperatura del Paese, un test di fiducia – o di sfiducia – nei confronti del governo in carica. E anche quello sulla giustizia, con la sua carica simbolica, rischia di diventare un referendum pro o contro la linea dell’esecutivo.

Un po’ di storia
Ne abbiamo già avuti quattro, di referendum costituzionali, e tutti hanno lasciato il segno. Quello del 2001, sulla riforma del Titolo V, passò. Quello del 2006, promosso dal centrodestra, fu bocciato.
Nel 2016, Renzi ci mise la faccia e ci perse il governo. Nel 2020, invece, vinse il “Sì” al taglio dei parlamentari, con una partecipazione modesta ma significativa. Ogni volta, la stessa dinamica: una questione costituzionale che diventa psicodramma politico nazionale, con campagne infuocate, appelli, bandiere e accuse di catastrofe o di rinascita.

La giustizia sul banco del popolo

Ora tocca alla riforma della giustizia, un tema da sempre infiammato e divisivo. Ci si arriverà probabilmente in primavera, e sarà un test non solo per il Parlamento, ma anche per la tenuta della coalizione di governo e per la fiducia nell’intero sistema istituzionale.
Gli esperti già si interrogano su quanto la gente voterà per convinzione giuridica o per appartenenza politica. Perché, anche se la Costituzione non lo prevede, ogni referendum confermativo è sempre un plebiscito mascherato: su chi governa, su come lo fa, su quanto ancora lo si vuole lì.

Il potere del “Sì” e del “No”
Eppure, dietro la retorica delle urne, resta la sostanza: la possibilità, per i cittadini, di esercitare un contropotere autentico.
Il “Sì” conferma il cambiamento, il “No” lo blocca. Non c’è quorum a proteggerlo dall’indifferenza, né scorciatoie procedurali. C’è solo la forza del voto, diretta e indivisibile.
Un meccanismo limpido, pensato dai Padri costituenti per evitare che la Costituzione potesse essere cambiata di nascosto, o nell’ombra di compromessi parlamentari.

L’Italia davanti allo specchio

Ogni referendum confermativo è uno specchio. Non solo per la riforma che si giudica, ma per il grado di fiducia che il Paese ha in sé stesso e nelle sue istituzioni.
Il prossimo, quello sulla giustizia, sarà anche questo: una radiografia delle nostre paure e delle nostre speranze.
Ci sarà chi lo vedrà come un passo verso la modernità e chi come un rischio per l’equilibrio dei poteri. Ma, come sempre, sarà il popolo a decidere. Senza quorum, senza alibi, senza intermediari.

E in quell’urna – come sempre, quando si tratta della Costituzione – finirà non solo una legge, ma un pezzo di destino italiano.

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