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Referendum, i partiti si dividono: tra appelli al Sì, al No e all’astensione

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Referendum, i partiti si dividono: tra appelli al Sì, al No e all’astensione

Il weekend dell’8 e 9 giugno vedrà gli italiani impegnati non solo per le elezioni europee, ma anche per una tornata referendaria che riporta al centro la questione del lavoro e dei diritti. Promossi dalla CGIL, i cinque quesiti riguardano temi sensibili: l’abolizione del Jobs Act per i licenziamenti illegittimi, la reintroduzione dell’articolo 18 anche per le imprese sotto i 15 dipendenti, la limitazione dei contratti a termine, la responsabilità solidale negli appalti e la cancellazione delle norme che ostacolano il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli stranieri nati o cresciuti in Italia.

Referendum, i partiti si dividono: tra appelli al Sì, al No e all’astensione

Una piattaforma ambiziosa che mira a riformare decenni di interventi legislativi con un tratto di penna, ma che si scontra con il nodo cruciale della partecipazione: senza il quorum del 50% più uno degli aventi diritto, l’intera consultazione sarà vana.

Fratelli d’Italia guida il fronte dell’astensione
La premier Giorgia Meloni ha scelto la linea dell’astensione. Una scelta netta, che nel linguaggio referendario equivale a un invito a disertare le urne per impedire il raggiungimento del quorum. Fratelli d’Italia, dunque, si schiera senza tentennamenti contro l’impianto complessivo dei quesiti, considerati espressione di un’impostazione ideologica e superata. Tuttavia, qualche distinguo si registra tra i parlamentari del partito: c’è chi, pur sostenendo la linea ufficiale, ha dichiarato che si recherà comunque a votare. Un atteggiamento che evidenzia come il tema del lavoro riesca ancora a suscitare sensibilità trasversali, anche in ambienti conservatori.

Il Partito Democratico dice sì, ma con libertà
Il Partito Democratico ha espresso il proprio sostegno ai referendum, in particolare a quelli di matrice più marcatamente sociale. Il segretario Elly Schlein ha dichiarato che voterà sì, soprattutto per rimediare alle “ingiustizie prodotte dal Jobs Act”. Tuttavia, all’interno del PD prevale un approccio pluralista: non c’è una disciplina di partito e ciascun iscritto è libero di esprimersi come ritiene. Una posizione che riflette la volontà di mantenere un equilibrio tra le anime interne, ma che rischia di tradursi in un messaggio poco incisivo per l’elettorato.

Movimento 5 Stelle: libertà di voto e sostegno alla cittadinanza
Anche il Movimento 5 Stelle ha optato per la libertà di voto, ma il presidente Giuseppe Conte ha preso posizione in modo netto almeno su uno dei quesiti: quello relativo alla cittadinanza. “Voterò sì – ha detto – perché è tempo di superare le discriminazioni che colpiscono migliaia di giovani nati e cresciuti in Italia”. Gli altri temi, invece, sembrano lasciare il campo a una riflessione individuale, in linea con l’evoluzione post-ideologica del M5S, sempre più attento a non essere etichettato rigidamente.

Azione e Italia Viva: no convinto, ma con sfumature
Sul fronte opposto, Carlo Calenda e Matteo Renzi si sono espressi contro i quesiti, bollandoli come inutili o dannosi. Azione ha invitato chiaramente a votare no, considerandoli un tentativo di riportare indietro l’orologio delle riforme. Italia Viva ha espresso posizioni simili, pur lasciando ai propri elettori margini di valutazione personale. In entrambi i casi, prevale la visione liberale del mercato del lavoro, e l’idea che il referendum non sia lo strumento adatto per regolare materie così complesse.

+Europa, Verdi-Sinistra e le autonomie locali
+Europa ha respinto i quesiti legati al lavoro, giudicandoli populisti e controproducenti. La posizione sul referendum sulla cittadinanza è invece rimasta più sfumata. Totalmente favorevoli, invece, i partiti della sinistra rosso-verde: Alleanza Verdi-Sinistra, guidata da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, ha dato indicazione di voto positiva su tutti i quesiti. Le forze delle autonomie, dalla Südtiroler Volkspartei all’Union Valdôtaine, hanno scelto la neutralità, lasciando totale libertà di coscienza ai propri elettori, in continuità con una lunga tradizione di autonomia anche nei comportamenti elettorali.

Il quorum come ago della bilancia

Tutti i partiti, indipendentemente dalla posizione assunta, sono ben consapevoli che il vero nodo sarà la partecipazione. I sondaggi indicano una potenziale affluenza tra il 30% e il 40%, molto lontana dal quorum necessario. In questo senso, la scelta dell’astensione, pur criticata da alcuni costituzionalisti, diventa una strategia politica che punta a disinnescare l’efficacia dello strumento referendario. La concomitanza con le europee potrebbe però rimescolare le carte, soprattutto se i promotori riusciranno a mobilitare la base nei territori.

Una sfida politica più che tecnica
Al di là dei contenuti specifici, la consultazione dell’8 e 9 giugno si configura come una sfida simbolica tra due visioni opposte del lavoro, della cittadinanza e del ruolo dello Stato. Le alleanze e le dichiarazioni raccolte attorno ai cinque quesiti mostrano una geografia politica fluida, dove le tradizionali divisioni destra-sinistra si intrecciano con considerazioni strategiche e tattiche. Per alcuni partiti, il referendum è un’occasione per ribadire la propria identità; per altri, un rischio da evitare. In ogni caso, sarà una cartina di tornasole sulla capacità dei soggetti politici di interpretare il cambiamento in atto nella società italiana.

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