Roma, la città più cara: caffè e olio rincarano, la spesa diventa un lusso
- di: Redazione

Tra le vie di Roma si respira un’aria familiare ma più amara. Non per nostalgia, ma per i rincari che hanno trasformato i piccoli gesti quotidiani in spese significative. Il rito del caffè al bar, la spesa al mercato rionale, l’acquisto del pane fresco: tutto ha cambiato volto, o meglio, prezzo. Secondo gli ultimi dati raccolti da Assoutenti, in soli quattro anni – dal 2020 al 2024 – l'inflazione ha inciso profondamente sul costo della vita nella Capitale, con aumenti dei prezzi che arrivano in certi casi al 55%. Un fenomeno che non è solo numerico, ma sociale, perché modifica abitudini, alimentazione e anche la percezione del benessere.
Roma, la città più cara: caffè e olio rincarano, la spesa diventa un lusso
Un simbolo, prima ancora che un prodotto. Il caffè al bar, che a Roma rappresenta un momento di socialità e una pausa sacra, ha subito un rincaro del 33% in quattro anni. Il prezzo medio è passato da 1 euro a 1,33 euro, ma in molte zone centrali ha ormai superato tranquillamente 1,50 euro. Non è più raro che, tra piazze storiche e quartieri gentrificati, si debbano sborsare anche 1,70 euro per un espresso. Questo aumento racconta una storia ben più ampia: l’inflazione si è infilata proprio là dove si costruisce la quotidianità, e incide anche sul senso di accessibilità ai piccoli piaceri.
Frutta e verdura, la salute che pesa
Ancora più impattanti i rincari su frutta e verdura. In alcuni casi, come per le mele, si arriva al 55% in più rispetto a quattro anni fa. Aumenti consistenti sono stati registrati anche per le arance, le zucchine e le patate. L’effetto si sente in modo diretto nei carrelli della spesa e in modo indiretto nelle scelte nutrizionali delle famiglie: sempre più romani tagliano sulle quantità di prodotti freschi, orientandosi verso quelli confezionati o a lunga conservazione. Un’inversione pericolosa che tocca la qualità della dieta e, di conseguenza, la salute pubblica.
Il pane quotidiano, sempre più caro
Un altro indicatore simbolico e materiale del cambiamento è il pane. I dati indicano un incremento medio del 25%, ma anche in questo caso la media nasconde situazioni più gravi. Nei forni storici e nei supermercati delle zone centrali, la classica rosetta ha superato il prezzo di 5 euro al chilo, mentre in periferia si registrano aumenti meno marcati ma comunque sensibili. Il pane, alimento base e democratico, ha smesso di esserlo, diventando un ulteriore segnale della polarizzazione sociale tra chi può permettersi la qualità artigianale e chi si rivolge al pane industriale a basso costo.
Olio d'oliva, l’oro verde che non si versa più
Il prodotto che forse più di ogni altro ha incarnato il rincaro strutturale è l’olio extravergine d’oliva. I dati parlano di un incremento medio del 44%, con punte che superano il 50% in certi casi. Il litro di olio, che nel 2020 costava circa 6 euro, si aggira oggi attorno ai 9 euro, ma anche 10 o 11 per le etichette di qualità superiore. Il fenomeno è dovuto sia all’inflazione generale che alle difficoltà produttive causate da cambiamenti climatici, parassiti e crisi energetica. Risultato: molte famiglie riducono l’uso dell’olio buono, tornando a soluzioni più economiche, spesso di minor valore nutrizionale.
Dove colpisce di più l’inflazione
Non tutti i quartieri di Roma sono colpiti allo stesso modo. I rincari maggiori si registrano nelle zone a maggiore attrattività turistica – Centro Storico, Trastevere, Prati – dove il commercio si è ormai orientato al visitatore occasionale più che al residente. Qui, la logica del "prezzo per chi passa una volta" vince su quella del "prezzo per chi vive ogni giorno". Nelle periferie, invece, si avverte il peso della crisi in termini diversi: il problema non è tanto l’aumento dei prezzi assoluti, quanto la minor capacità di assorbirli. Le famiglie con redditi bassi si trovano a dover rinunciare a beni fondamentali, con un impatto diretto sul benessere complessivo.
Le strategie delle famiglie e il rischio normalizzazione
Di fronte a questo scenario, molte famiglie romane stanno adottando strategie di sopravvivenza: acquisti nei discount, rinuncia ai prodotti freschi di stagione, spostamento verso mercati informali. Ma il dato più allarmante è la progressiva normalizzazione di questo stato di cose. L’inflazione non è più vissuta come emergenza, ma come dato strutturale, inevitabile. Il rischio è che si perda la consapevolezza del valore delle cose, e che il restringersi del potere d’acquisto venga interiorizzato come nuova normalità. Un processo che indebolisce la coesione sociale e ridisegna le città non solo nei consumi, ma nei comportamenti, nei rapporti umani, nella fiducia reciproca.
Un segnale più ampio di malessere urbano
Il carovita romano è solo la punta dell’iceberg. Se Roma mostra dati più evidenti per via della sua dimensione e della sua visibilità mediatica, lo stesso fenomeno si sta verificando in molte città italiane, specialmente nei centri storici a vocazione turistica. Il dato economico si lega a un più generale processo di trasformazione urbana, dove l’equilibrio tra chi vive e chi visita si rompe, e il costo della vita aumenta anche per i servizi essenziali. I consumi si spostano, le comunità si frammentano, e l’idea stessa di “città per i cittadini” vacilla sotto il peso di una crisi che è economica, ma anche culturale.