Terremoto, Pirozzi: "La ricostruzione a rischio speculazioni e malaffare"

- di: Redazione
 
Amatrice lentamente, troppo lentamente, sta riprendendo a vivere, dopo cinque anni dal terremoto. Un periodo lunghissimo per chi, dopo non avere voluto abbandonare il suo luogo del cuore, ha dovuto accettare che la ricostruzione sta avendo i tempi della politica, dove le promesse, le assicurazioni, gli impegni d'onore si sprecano e non giungono mai a concretizzarsi. Amatrice, come tutti i piccoli centri del cratere del sisma che, nel 2016, rase al suolo case e chiese, strade e palazzi, cancellando il ricordo di una storia spesso millenaria, sta cercando di tornare a vivere, affidandosi ai suoi uomini migliori, cui chiede di non rassegnarsi e di tenere sempre alta l'attenzione per evitare che le speranze non si incaglino nei bizantinismi di regolamenti, decreti e norme che spesso cozzano contro il buonsenso.

Sergio Pirozzi (nella foto), il sindaco in carica nei giorni del terremoto e che per la ricostruzione ha per anni sacrificato tutto il suo tempo, correndo tra i palazzi del potere per velocizzarne i tempi, anche dopo la sua elezione nel consiglio regionale del Lazio ha fatto da sentinella, esponendosi sempre in prima persona, denunciando, opponendosi o sostenendo. Oggi, quando la ''parola'' ricostruzione sembra potersi pronunciare senza l'amarezza di questi anni, Pirozzi è tornato su una barricata - quella della difesa della sua gente - da cui non s'è mai allontanato. E le sue parole suonano a monito perché disegnano, per i paesi del terremoto, un futuro che potrebbe essere non cristallino, come è il cielo della sua Amatrice. Perché, dice oggi Pirozzi, il quadro normativo posto alla base della ricostruzione "se da una parte ha semplificato e velocizzato alcune procedure, innovando attraverso il legittimo riconoscimento della differenziazione del cratere tra comuni maggiormente danneggiati e non, dall’altra ha generato un pericoloso rischio speculativo".

Parole importanti, che meritano un approfondimento.

Il suo è un allarme vero e proprio, non solo un invito a riflettere sulla portata di una normativa. Cosa intende dire quando parla di rischio speculativo?
Mi riferisco all'abrogazione della clausola, prevista dal Decreto legge 189 del 2016, che prevedeva il divieto di vendita delle case riparate con contributi pubblici prima di due anni dalla fine dei lavori a soggetti diversi dal coniuge o parenti e affini entro il quarto grado, pena la decadenza dei contributi. Una clausola di buonsenso perché aveva il chiaro obiettivo di preservare i territori da possibili futuri fenomeni di abbandono.

Ed invece?
Invece, con l'abolizione della clausola, a cinque anni dal terremoto, quando ancora la ricostruzione è solo un concetto astratto al quale comunque gli abitanti dei centri colpiti dal sisma si aggrappano, il rischio speculativo è addirittura più concreto perché espone i proprietari di case alla mire di persone che approfittano delle loro difficoltà, aggravata da una recessione economica generata dalla pandemia e maggiormente sentita in aree già in zona rossa dal 2016. Difficoltà resa ancora più opprimente in quei Comuni in cui il terremoto ha distrutto più della metà delle abitazioni e in quelli in cui la presenza del cosiddetto 'mondo delle seconde case' era preponderante.

Come, a suo avviso, la nuova normativa spiana la strada agli speculatori?
Con l’attuale legislazione è sufficiente l’approvazione della richiesta di contributo per la ricostruzione per poter vendere la propria casa. Su questo punto bisogna tenere presente che il contributo (che oscilla da un minimo di 1.600 euro a un massimo di 2.000 euro al metro quadro relativamente ai danni gravi), non passa per i proprietari dell’immobile, ma viene versato direttamente dall’Ufficio Ricostruzione alla ditta esecutrice dei lavori, ai tecnici per la progettazione, la direzione lavori e per gli oneri per la sicurezza. Il problema è che un numero sempre maggiore di cittadini, stretti tra l’assenza di una vera ripresa economica post-terremoto e la mancanza di pieni introiti a causa dell’emergenza sanitaria, non riesce più ad arrivare alla fine del mese. Cosicché gran parte del patrimonio immobiliare dei Comuni distrutti dal sisma rischia di essere messo in vendita, monetizzato causa necessità, alla mercé del miglior offerente, di affaristi e speculatori. E dietro la speculazione sovente si cela la criminalità, sempre attenta a cercare operazioni in cui ripulire il denaro sporco.

Lei usa parole forti, ma che segnalano non un semplice timore, ma un rischio concreto. Quale potrebbe essere l'ampiezza del fenomeno che lei teme?
Rispondo alla sua domanda ricordando che stiamo parlando di un patrimonio privato immobiliare quantificabile in quasi 80 mila edifici che, dopo i controlli di prassi, sono stati dichiarati inagibili. Per 44 mila di essi le perizie parlano di danni gravi. E, su questo punto, vorrei ricordare che il problema non riguarda solo Amatrice, ma molti altri centri accomunati nel dramma del terremoto, perché hanno visto più del 50 per cento del loro patrimonio edilizio seriamente danneggiato o distrutto.

Senza volere essere fraintesi, può darci un quadro economico di questi interventi mirati alla ricostruzione?
Per i Comuni come Amatrice, Accumoli, Norcia, Cascia, Preci, Visso, Ussita, Arquata del Tronto, Tolentino, San Severino, San Ginesio, Pieve Torina, Castel Sant’Angelo sul Nera, che da soli contano circa 24 mila edifici con danni gravi, di cui circa 15 mila non adibiti ad abitazione principale, ma relativi al mondo delle seconde case è previsto un importo presunto di ricostruzione di circa 500 milioni di euro. Il pericolo, che forse qualcuno ha sottovalutato, ma che è stato sempre al centro della mia azione politica, da sindaco di Amatrice prima e da consigliere regionale oggi, è che la lentezza della ricostruzione e, quindi, la mancanza di luoghi di aggregazione, di alcuni servizi essenziali e il ridimensionamento del tessuto economico, determinino un disinnamoramento verso i luoghi che sono diventati della memoria e non del presente. Una situazione che potrebbe spingere molti proprietari a vendere il proprio immobile. Anche se forse sarebbe più aderente alla realtà parlare di svendita di un immobile per il quale il singolo cittadino non deve versare alcun euro per la sua ricostruzione e la cui vendita può costituire un immediato introito e guadagno, anche nel caso di vendita ampiamente al di sotto del suo reale valore di mercato. Ma questa vendita diventa un’opportunità speculativa per molte ditte, che, recependo il contributo alla ricostruzione, comprando sottocosto l’immobile e rivendendo lo stesso, possono ricavare un doppio utile da tale operazione.

In questo caso si tratterebbe di una normale operazione immobiliare. Ma, da quel che capiamo, il suo timore è un altro.
Dico solo che queste circostanze potrebbero costituire una ghiotta occasione per qualcuno che non si limiterebbe solo a speculare. Dietro la facciata di normali operazioni immobiliari come queste potrebbero nascondersi attività illecite, vero e proprio malaffare. Senza nascondere che tutto questo determinerebbe una corsa al ribasso, la perdita del valore di mercato di tutti gli immobili presenti in quei territori.

Quindi oggi quale potrebbe essere la norma da adottare, soprattutto con urgenza, per fermare probabili manovre speculative?
In un’ottica di tutela della legalità, di difesa del nostro patrimonio e delle nostre tradizioni, sarebbe opportuno ripristinare il divieto di vendita delle case riparate con contributi pubblici prima di due anni dalla fine dei lavori, pena la decadenza dei contributi e l’obbligo di restituzione, con relativo pagamento degli interessi. Non si tratta solo di porre dei paletti burocratici a potenziali speculazioni, ma anche guardare al valore sociale di un simile indirizzo. Dare ai proprietari la possibilità di ricostruire, sia pure ponendo dei vincoli, servirà a mantenere intatto il nostro patrimonio culturale, che, se gli immobili passeranno di mano per mero interesse, sarà cancellato da 'nuovi padroni', venuti da fuori solo per monetizzare il dramma del terremoto.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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