La Commissione Affari Costituzionali del Senato ha respinto l’emendamento presentato dalla Lega per introdurre la possibilità di un terzo mandato consecutivo per i presidenti di Regione. La proposta, cavallo di battaglia del ministro leghista Roberto Calderoli, ha raccolto soltanto cinque voti favorevoli – quelli del Carroccio, di Italia Viva e del gruppo delle Autonomie – a fronte di quindici contrari. Si sono invece astenuti due senatori di Fratelli d’Italia, tra cui il presidente della commissione Alberto Balboni. Un risultato che segna la quinta bocciatura per la proposta, ma che, secondo Calderoli, non chiude la partita. “Con amarezza devo dire che la nostra proposta è stata bocciata per la quinta volta. Comunque ritengo che il terzo mandato sia giusto non solo a livello delle Regioni e Provincie a statuto speciale, ma anche per quelle ordinarie”, ha commentato il ministro.
Terzo mandato bocciato, la Lega isolata al Senato
Il voto ha mostrato le fratture interne alla maggioranza. Mentre la Lega ha sostenuto compatta la proposta, Fratelli d’Italia si è tenuta alla larga, evitando uno scontro diretto ma manifestando in modo implicito la sua contrarietà. Anche Forza Italia ha preferito non sostenere l’emendamento, in linea con quanto già accaduto nei precedenti tentativi. All’opposizione, invece, è bastato fare quadrato per far affondare la proposta: il Partito Democratico, il Movimento Cinque Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra hanno ribadito il loro no, ritenendo il provvedimento una forzatura incompatibile con l’equilibrio istituzionale.
Calderoli non si arrende: “Non è una battaglia personale”
Nonostante l’ennesimo stop, Calderoli insiste: “Questa proposta nasce dalla volontà di garantire ai territori la possibilità di scegliere liberamente chi li governa, senza limiti precostituiti”. Il ministro degli Affari regionali rivendica una battaglia di principio, che però ha assunto anche un valore simbolico e strategico in vista delle future elezioni regionali. In particolare, l’iniziativa avrebbe favorito i presidenti uscenti in Lombardia e Veneto, come Attilio Fontana e Luca Zaia, entrambi al secondo mandato. L’ostinazione della Lega si spiega anche con la volontà di rafforzare il proprio radicamento nelle regioni settentrionali, dove il consenso resta alto ma è minacciato dalla concorrenza interna nel centrodestra.
Fratelli d’Italia gioca d’attesa
L’atteggiamento di Fratelli d’Italia è stato particolarmente indicativo. Il partito della premier Meloni ha scelto di astenersi, evitando un voto esplicitamente contrario, ma non sostenendo in alcun modo l’iniziativa della Lega. Una mossa che rispecchia una strategia prudente: mantenere l’unità della coalizione senza legarsi le mani su una questione che divide l’elettorato e rischia di creare tensioni con i governatori in carica. Per il partito della presidente del Consiglio, al momento, l’obiettivo prioritario resta il controllo della linea politica nazionale, senza alimentare polemiche secondarie.
Italia Viva e Autonomie, alleati tattici
A sorprendere, nel panorama dei voti favorevoli, è il sostegno arrivato da Italia Viva e dal gruppo delle Autonomie. Matteo Renzi, da sempre favorevole alla possibilità di rieleggere buoni amministratori senza vincoli rigidi, ha confermato la sua posizione liberale sul tema. Il voto positivo rappresenta più un gesto di coerenza che un’alleanza politica con la Lega, ma offre comunque al Carroccio una sponda imprevista su cui provare a costruire nuove interlocuzioni in Senato. Anche l’appoggio delle Autonomie risponde a una logica territoriale, legata alla maggiore flessibilità istituzionale richiesta da regioni speciali come il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta.
Una battaglia che rischia di pesare sulla maggioranza
La bocciatura dell’emendamento non è solo uno stop legislativo, ma anche un segnale politico chiaro sulle dinamiche interne alla maggioranza. La Lega, pur rivendicando la proposta come necessaria per modernizzare l’ordinamento regionale, si trova sempre più isolata, mentre Fratelli d’Italia rafforza la propria centralità e capacità di dettare i tempi. Se il tema del terzo mandato dovesse tornare in aula, lo farebbe in un contesto reso ancora più complicato dalla competizione interna tra i partiti di governo. La posta in gioco, infatti, va ben oltre le regole elettorali: riguarda il futuro assetto del potere nei territori.