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Trapianti, Italia da record: attese più brevi e la sfida culturale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Trapianti, Italia da record: attese più brevi e la sfida culturale

L’Italia è al secondo posto in Europa per donazioni di organi, dietro solo alla Spagna. Secondo i dati del Centro nazionale trapianti il nostro Paese ha raggiunto quota 28,2 donatori ogni milione di abitanti, superando Francia (26,3), Regno Unito (21,3) e Germania (11,4). Solo la Penisola iberica mantiene un primato consolidato con 48,9. Numeri che collocano l’Italia in una posizione di eccellenza, con un risultato che fino a pochi anni fa sembrava impensabile.

Trapianti, Italia da record: attese più brevi e la sfida culturale

Il dato ha un valore politico e sociale: significa che la rete ospedaliera funziona, che i coordinamenti regionali riescono a lavorare con continuità, che il sistema di procurement non si è fermato nemmeno durante la pandemia. Significa soprattutto che cresce la fiducia dei cittadini in un meccanismo delicatissimo, che vive di consenso e consapevolezza.

Liste di attesa più brevi

Le liste d’attesa si sono ridotte sensibilmente: oggi, spiega Luciano De Carlis, presidente della Società italiana trapianti d’organo (Sito) ed ex primario al Niguarda di Milano, «parliamo di tre o quattro mesi per la maggior parte degli organi». Resta l’eccezione del rene, dove i tempi si allungano fino a tre anni. «Sono dati incoraggianti, ma non bisogna accontentarsi», avverte De Carlis alla vigilia del 48° congresso nazionale Sito, in programma a Milano dal 21 al 23 settembre.

Dietro le cifre ci sono le storie: pazienti che hanno visto scendere l’attesa da anni a pochi mesi, famiglie che non hanno più vissuto il dramma di un’attesa infinita. Ma ci sono anche le situazioni ancora critiche, come i malati renali, che continuano a vivere con la prospettiva di una dialisi lunga e di un tempo incerto.

Il nodo culturale
Il passo in avanti, sottolineano i medici, è frutto di investimenti e nuove tecniche. Ma resta aperta una questione culturale. «I giovani si sentono lontani dal problema, gli anziani pensano che i loro organi non siano più utili. Niente di più sbagliato», spiega De Carlis. A ricordarlo è un caso emblematico: una donna di 102 anni ha donato il proprio fegato, dimostrando che l’età non è un limite invalicabile. Sempre più spesso avvengono donazioni da over 80 e over 90.

Per questo motivo Sito punta su campagne di informazione nelle scuole e tra gli anziani. «Nessuno può sentirsi escluso – insiste De Carlis –. È un gesto di altruismo che può salvare vite. Un tempo i donatori erano spesso ragazzi morti in incidenti sul motorino. Oggi arrivano per incidenti con i monopattini. Cambia lo scenario, non l’urgenza di esprimere in vita la propria volontà».

Dietro la freddezza del dato statistico si nasconde un cambio di mentalità che però procede lentamente. L’idea che “gli altri ci penseranno” resta diffusa. Per i medici la sfida è ribaltare questa logica: ogni cittadino deve farsi carico della propria decisione.

Le nuove tecniche
A ridurre la mortalità in lista d’attesa hanno contribuito le nuove frontiere mediche. Tra queste la donazione a cuore fermo, che in Italia resta vincolata da un limite normativo: servono venti minuti dopo l’arresto cardiaco, contro i cinque previsti in gran parte d’Europa. «Dieci anni fa – ricorda De Carlis – al Niguarda realizzammo il primo trapianto di fegato a cuore fermo, aprendo una strada che ha aumentato del 25% la sopravvivenza».

Oggi l’80% degli organi prelevati con questa tecnica è utilizzabile grazie all’evoluzione delle macchine di perfusione, che consentono di “condizionare” l’organo migliorandone la funzionalità. Non solo: la tecnologia permette di trasformare un intervento da urgente a programmato, aumentando le possibilità di successo.

L’uso delle macchine di perfusione ha un altro effetto: offre tempo. Tempo ai medici per valutare, tempo ai pazienti per prepararsi, tempo alla rete sanitaria per organizzarsi. In un settore in cui le ore fanno la differenza tra la vita e la morte, è un cambio di paradigma.

Una sfida sociale
Il congresso Sito di Milano sarà il punto di incontro per specialisti e istituzioni. Ma la sfida, ammettono gli addetti ai lavori, non è solo medica. «Serve un cambio culturale che deve riguardare giovani e anziani», ribadisce De Carlis. Più consapevolezza, più dichiarazioni di volontà registrate, meno tabù intorno alla donazione.

In un Paese che ha già ridotto la mortalità tra i pazienti in lista, il margine per migliorare resta ampio. I dati incoraggianti non bastano a sciogliere i nodi culturali. Perché dietro le statistiche ci sono vite salvate e vite che ancora attendono. E la differenza, spesso, dipende da una scelta individuale fatta in anticipo.

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