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Trump contro la Corte Suprema: l’ennesimo attacco alla democrazia

- di: Bruno Legni
 
Trump contro la Corte Suprema: l’ennesimo attacco alla democrazia
Dopo lo stop ai rimpatri forzati, il presidente accusa i giudici e rilancia contro Comey: “Poliziotto corrotto”. Tra social e vittimismo, Trump riscrive le regole del potere.
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Attacco al cuore dello Stato di diritto
Donald Trump torna a usare la retorica del martirio politico e istituzionale. Dopo la decisione della Corte Suprema di bloccare temporaneamente l’utilizzo dell’Alien Enemies Act del 1798 per deportare migranti senza un regolare processo, il presidente ha sferrato un attacco frontale all’organo giudiziario più alto del Paese:La Corte Suprema degli Stati Uniti non mi permette di fare ciò per cui sono stato eletto”, ha scritto su Truth Social, il suo social di riferimento. E ha rincarato la dose: “Questo è un giorno brutto e pericoloso per l’America!”.
Ma la Corte, in maggioranza composta da giudici nominati proprio da Trump durante il suo primo mandato, ha spiegato con chiarezza i motivi dello stop: secondo il parere emesso, l’uso del provvedimento d’emergenza – pensato originariamente per situazioni di guerra – senza garantire ai migranti alcuna possibilità reale di contestare la deportazione, viola il principio costituzionale del giusto processo.

Una legge del Settecento piegata al populismo

La vicenda ruota attorno alla volontà dell’amministrazione Trump di applicare l’Alien Enemies Act, risalente a fine Settecento, a presunti affiliati alla gang venezuelana Tren de Aragua. Il caso simbolo è quello di Kilmar Abrego Garcia, rimpatriato nonostante un ordine della corte ne avesse momentaneamente sospeso l’espulsione. La procedura prevista dal team legale della Casa Bianca avrebbe offerto ai migranti solo 24 ore per preparare la propria difesa, senza accesso ad alcuna informazione specifica sulle accuse.
Come ha spiegato il giudice Neil Gorsuch – uno dei tre scelti da Trump nel primo mandato – la Costituzione non si sospende nelle emergenze inventate per scopi politici”. Parole che hanno indignato il presidente, sempre più insofferente al principio di separazione dei poteri, cardine della democrazia liberale.

Delirio vittimista e logica dell’uomo solo al comando
Trump, ormai abituato a trasformare ogni ostacolo istituzionale in un attacco personale, ha reagito secondo copione: ergendosi a vittima di un sistema che a suo dire lo boicotta. “Non mi fanno fare il mio lavoro”, ha scritto, lasciando intendere che la giustizia – anche quella di marca conservatrice – gli sia ostile. È un ribaltamento pericoloso: un leader che accusa le istituzioni di impedire il potere esecutivo sta minando alla base l’architettura costituzionale.
Non è solo questione di immigrazione. La vera posta in gioco è il modello di potere. Trump pretende un governo delle persone, non delle leggi. E ogni sentenza che lo contraddice, ogni regola che lo frena, viene bollata come sabotaggio.

Accuse infamanti a Comey: “Un poliziotto corrotto”
Come se non bastasse, nella stessa giornata Trump ha rilanciato un attacco durissimo contro l’ex direttore dell’FBI James Comey, definendolo pubblicamente “un poliziotto corrotto”. Il motivo? Un post criptico pubblicato (e poi cancellato) da Comey su Instagram, interpretato da alcuni come un “velato invito alla violenza contro il presidente”. I Servizi Segreti hanno aperto un’indagine di rito, e Comey è stato ascoltato per alcune ore: ha respinto ogni accusa, parlando di una frase decontestualizzata e del tutto priva di intento minaccioso.
L’episodio ha riacceso l’astio tra i due, che risale al 2017, quando Trump licenziò Comey mentre questi stava indagando sui legami tra la sua campagna elettorale e il Cremlino. All’epoca molti democratici – e non solo – denunciarono un tentativo di ostacolare le indagini federali. Trump si difese affermando che la rimozione era dovuta alla gestione “disastrosa” dell’inchiesta sulle email di Hillary Clinton.

Una strategia sistematica: delegittimare per dominare
Trump ha dimostrato, ancora una volta, che il suo stile politico è incompatibile con un ordinamento liberale. Il suo linguaggio non è solo divisivo: è sovversivo. Con una strategia perfettamente coerente, punta a delegittimare ogni contrappeso – giudiziario, mediatico, amministrativo – per affermare un modello autoritario, basato sullo scontro permanente e sulla fedeltà personale.
Le sue esternazioni degli ultimi giorni sono un ulteriore passo verso il superamento della logica costituzionale americana. Un presidente che tratta la Corte Suprema come un ostacolo, che insinua il sospetto su ex capi della polizia federale, che minaccia di sospendere l’habeas corpus, non è un leader incompreso. È un rischio concreto per la tenuta democratica.

L’America sotto stress: tra paura, propaganda e diritto
Gli Stati Uniti sono di nuovo in una fase di tensione istituzionale senza precedenti. I toni di Trump, sempre più incendiari, fanno breccia in una parte dell’elettorato che si sente assediata. Ma alimentano anche un senso crescente di allarme tra le élite legali e accademiche del Paese. Laurence Tribe, costituzionalista di Harvard, ha commentato: “Trump sta giocando con il fuoco. Il diritto non può essere piegato a convenienza del potere. O si rispettano le regole, o si scivola verso l’arbitrio”.
Il rischio è evidente: con una retorica eversiva e un elettorato radicalizzato, Trump punta a trasformare ogni ostacolo in carburante per la propria narrazione. La Corte Suprema potrebbe essere solo l’inizio.

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