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Fbi nell’era Trump: la paranoia come nel maccartismo

- di: Jole Rosati
 
Fbi nell’era Trump: la paranoia come nel maccartismo
Trump e l’Fbi, l’ossessione che sfiora la paranoia
James Comey pedinato per un post su conchiglie: l’America del 2025 torna ai tempi di McCarthy, tra delazioni, sospetti e repressione digitale.

Il nemico pubblico n.1 del trumpismo? Chiunque osi dissentire

James Comey, ex direttore dell’Fbi licenziato da Donald Trump nel 2017, è stato sorvegliato segretamente dal Secret Service per un innocuo post pubblicato su X (ex Twitter). La notizia è di quelle che fanno gelare il sangue: auto civetta, agenti in borghese, tracciamento del telefono e interrogazione telefonica. Il tutto per una foto di conchiglie.

Sì, conchiglie.

Una foto, un numero, una paranoia

L’immagine postata da Comey mostrava delle conchiglie disposte nella sequenza “86 47”. Chi conosce il linguaggio dei meme americani sa che “86” significa “eliminare”, mentre “47” è il numero associato a Trump come 47° presidente. Il significato? Per l’universo trumpiano, una minaccia mascherata di assassinio.

Pochi minuti dopo, Donald Trump Jr. ha scritto su X: “Sta chiedendo con leggerezza che mio padre venga assassinato”. Il risultato: una bufera digitale, con decine di influencer conservatori a chiedere l’arresto di Comey per “minaccia al presidente”.

Comey, raggiunto da un agente del Secret Service quella sera stessa, ha negato qualsiasi intento violento: “Non avevo idea che quei numeri potessero essere letti in quel modo”. Ha poi cancellato il post. Ma non è bastato.

Pedinato come un sospetto terrorista

Il giorno dopo, Comey e sua moglie sono stati seguiti mentre viaggiavano tra Carolina del Nord, Virginia e Washington. Agenti del Secret Service in abiti civili hanno pedinato l’auto, mentre la posizione del telefono veniva tracciata in tempo reale. Alcuni agenti erano già appostati vicino casa.

Uno scenario da thriller paranoico che oggi è diventato normalità nell’America trumpiana.

La paranoia del potere e il ritorno dell’ombra maccartista

Questo episodio ricorda la caccia alle streghe dell’era McCarthy. Allora bastava un sospetto legame con il comunismo. Oggi basta un numero ambiguo online. Comey, che ha testimoniato contro Trump nel Russiagate e pubblicato memorie critiche, è entrato in quella che Timothy Snyder definirebbe “zona del silenzio”: un’area grigia dove la libertà viene annientata con l’intimidazione.

Un’America malata di sospetto

Il caso Comey non è isolato. Da settimane, la stampa americana documenta un’escalation: dissidenti, intellettuali e funzionari sorvegliati per post critici. Le “interviste di sicurezza” contro dipendenti pubblici stanno aumentando, basta esprimere un dissenso ideologico.

Sui social, si diffonde un patriottismo tossico. Magliette e cappellini con scritte “86 47” o “86 46” sono in vendita su Amazon. Ma solo la combinazione contro Trump è finita sotto indagine. La bilancia della giustizia americana è ormai inclinata.

L’eco internazionale e la crisi dell’immagine americana

Anche l’estero osserva con crescente inquietudine. Si parla di “pagina buia della democrazia americana”, di “clima orwelliano”. Il messaggio agli alleati è devastante: chi critica il potere rischia la sorveglianza. Non è solo una crisi dello Stato di diritto: è una crisi di credibilità globale.

Conclusione: il prezzo della paura

La gravità non è solo nell’azione, ma nella sua normalizzazione. Che il Secret Service agisca per una bufera social è un campanello d’allarme democratico. Ancora più grave è il silenzio bipartisan su quanto accaduto.

Oggi la libertà non viene più tolta con la forza, ma con la paura. Comey ha raccolto conchiglie. Ma chi oggi raccoglie prove contro Trump rischia ben altro: una tempesta di repressione digitale, intimidazione e sospetto di Stato.

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