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Starmer sotto pressione: Pil giù, Labour in affanno e Brexit ritorna

- di: Vittorio Massi
 
Starmer sotto pressione: Pil giù, Labour in affanno e Brexit ritorna
Starmer sotto pressione: Pil giù, Labour in affanno e Brexit ritorna

Ottobre chiude in rosso, la City fiuta un taglio dei tassi e i sondaggi raccontano un Paese che cambia umore (e partiti).

(Foto: il primo ministro britannico Keir Starmer).

Un decimale che pesa come un macigno

C’è un numero minuscolo che in questi giorni rimbalza da Westminster ai tavoli della City: -0,1%. È la variazione del Pil mensile del Regno Unito in ottobre, una frenata arrivata quando molti analisti si aspettavano un segno più, o almeno una pausa. Invece no: secondo l’Office for National Statistics (ONS), l’economia britannica scivola ancora dopo il -0,1% di settembre e lo “zero tondo” di agosto.  

Il tema non è la “recessione tecnica” in senso stretto (che si misura su base trimestrale), ma l’atmosfera è quella: una quasi-recessione psicologica, fatta di fiducia che sbiadisce, investimenti che si rimandano, e politica che comincia a tremare sulle fondamenta.

Chi frena davvero: servizi e cantieri, non solo fabbriche

Se la narrazione più comoda è “colpa dell’industria”, i dettagli sono più pungenti. In ottobre, spiega l’ONS, a pesare sono soprattutto i servizi (in calo di 0,3%) e le costruzioni (in calo di 0,6%). La produzione, nel mese, risulta invece in crescita complessiva, anche se dentro quel dato ci sono scossoni settoriali e strascichi di settembre.       

Tradotto: non è solo questione di “una fabbrica che si ferma”. È più simile a un rallentamento diffuso, dove la parte più grande dell’economia – i servizi – smette di fare da locomotiva.

Il caso Jaguar Land Rover e la vulnerabilità “cyber” dell’economia reale

Detto questo, una storia industriale ha davvero lasciato segni: lo stop produttivo di Jaguar Land Rover dopo un cyber-attacco. La vicenda, emersa a inizio settembre, ha portato a un prolungamento della sospensione con ripartenza rinviata più volte, fino a fine mese. Non è un dettaglio da cronaca tech: quando si blocca una filiera automotive, l’onda lunga arriva su componentistica, logistica, fornitori.       

Il punto politico è semplice e scomodo: la crescita non inciampa soltanto per tasse, salari o energia. Inciampa anche perché la produzione moderna è un intreccio di software, fornitori e sistemi: basta un attacco ben assestato e la “macchina Paese” scopre di avere una centralina fragile.

Bank of England nel mirino: taglio dei tassi o “hawkish cut”?

Mentre Downing Street prova a tenere la barra dritta, gli occhi del mercato vanno alla Bank of England. La prossima decisione sui tassi è in calendario il 18 dicembre 2025.

Qui si incastrano due narrazioni che si detestano ma convivono: crescita che rallenta e inflazione che non vuole scendere abbastanza in fretta. Un sondaggio di Reuters tra economisti, alla vigilia dei dati ONS, indicava aspettative per un taglio di 25 punti base (fino a 3,75%) proprio a dicembre, con un dibattito interno alla banca centrale destinato a restare teso. 

In altre parole: se arriva un taglio, potrebbe essere un taglio “con i guanti”, accompagnato da un messaggio prudente. Ma per il governo sarebbe comunque ossigeno: meno costi del denaro, un po’ più di fiducia, e la speranza di vedere riaccendersi consumi e investimenti.

Reeves e la manovra: tasse, bollette, e una promessa rischiosa

Nel mezzo c’è la cancelliera dello Scacchiere Rachel Reeves, reduce da una manovra autunnale che ha acceso critiche e nervi scoperti. La linea del Tesoro, dopo il dato sul Pil, è stata perentoria: “sfidare le previsioni” sulla crescita e “creare buoni posti di lavoro”, puntando anche su sostegno alle bollette e investimenti nei servizi pubblici. (Fonte: dichiarazione riportata dalla stampa britannica, The Independent, 12 dicembre 2025).

È una promessa politicamente necessaria ma tecnicamente complicata: quando il Pil scricchiola, il rischio è che qualsiasi mossa – più tasse o più spesa – venga letta come un salto nel vuoto. E l’opposizione conservatrice infatti non aspetta: il fronte Tory attribuisce la frenata alla “cattiva gestione” e alla confusione comunicativa.

Labour sotto tiro: la pressione non arriva solo dall’opposizione

La parte più delicata per Starmer non è nemmeno lo scontro con i Conservatori: è il rumore dentro casa. Nelle ultime ore, nel racconto dei media britannici, la dirigenza laburista ha richiamato all’unità per contenere la crescita di Reform UK e spegnere le voci su future rese dei conti interne.

Qui la matematica politica è crudele: se l’economia non riparte, la pazienza del partito si assottiglia. E le elezioni amministrative di maggio diventano, nei fatti, un test di stabilità della leadership: non scritto, ma chiarissimo.

Sondaggi e sorpassi: Reform UK davanti, Labour in apnea

Il capitolo più esplosivo sono i numeri della popolarità. Un sondaggio YouGov (condotto il 7-8 dicembre 2025) colloca Reform UK al 27%, con Labour al 19% e Conservatori al 18%.       

Ancora più duro il quadro del tracker Find Out Now, che in un aggiornamento datato 10 dicembre 2025 segnala Reform al 30% e Labour al 14%, con Conservatori e Verdi indicati entrambi al 18% (con i LibDem al 12%).

Non è solo una gara di percentuali: è un cambio di scenografia. Reform si muove come un partito “anti-sistema”, mentre il Labour al governo viene percepito – da una fetta crescente di elettorato – come gestione prudente in tempi che chiedono scosse.

Non solo voti: la guerra dei tesserati e il messaggio simbolico

C’è poi un indicatore meno usato ma molto narrativo: la membership. Il 12 dicembre 2025 diversi media britannici hanno riportato l’affermazione di Reform UK di aver superato Labour per numero di iscritti, citando un conteggio pubblicato dal partito e stime sul calo dei tesserati laburisti sotto quota 250 mila.       

Anche qui, al di là della contabilità, pesa il segnale: un partito che si presenta come “nuovo” racconta slancio e mobilitazione, mentre un partito di governo che perde iscritti racconta fatica, e forse una base che chiede più voce.

Brexit, il ritorno del rimosso: dogana, Erasmus, e “Bregret”

E poi c’è lei, la parola che in Gran Bretagna sembra non morire mai: Brexit. Con crescita anemica e consensi in fuga, torna l’idea – più discussa che praticabile nel breve – di rammendare alcuni strappi: dalla possibile revisione del rapporto con l’unione doganale fino a una riapertura dei canali per programmi come Erasmus.

Starmer, fin qui, ha ribadito una linea prudente: rispettare l’esito del referendum e non promettere un rientro “dalla finestra”. Ma la conversazione pubblica si è riaccesa: una parte dell’opinione liberale e pro-business sostiene che ridurre l’attrito commerciale aiuterebbe un’economia già stressata.       

In sottofondo, circola un’etichetta diventata quasi un meme politico: “Bregret”, il pentimento post-Brexit. Non basta a cambiare la policy, ma dice molto sul clima: quando le promesse di “nuova prosperità” non si materializzano, la tentazione è cercare una scorciatoia. E la scorciatoia, oggi, si chiama “aggiustamento del divorzio”.

Che cosa può succedere adesso

Il quadro dei prossimi giorni è un incastro a tre:

1) Dati economici e fiducia. Se servizi e costruzioni non invertissero la rotta, la narrazione del “rimbalzo” rischierebbe di restare un titolo senza sostanza.

2) La scelta della Bank of England. Un taglio il 18 dicembre sarebbe una spinta psicologica, ma non una bacchetta magica: inflazione e salari continuano a condizionare la stanza dei bottoni. (Fonti: calendario BoE; aspettative economisti Reuters.)       

3) Politica in movimento. Sondaggi e membership dicono che l’elettorato sta sperimentando nuove “case politiche”. Per Starmer, la sfida è doppia: evitare l’implosione interna e recuperare un racconto di crescita credibile.

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