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Università di Firenze: fossili infantili di 2 milioni di anni fa offrono nuove prospettive sull’evoluzione umana

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Università di Firenze: fossili infantili di 2 milioni di anni fa offrono nuove prospettive sull’evoluzione umana
L’infanzia dei nostri antenati di 2 milioni di anni fa potrebbe essere stata molto diversa da quella dell’Homo sapiens. È quanto emerge da una nuova ricerca pubblicata su Nature Communications, che analizza per la prima volta alcuni fossili di individui neonati e infantili appartenenti al genere Homo. Lo studio, frutto della collaborazione tra Jacopo Moggi Cecchi dell’Università di Firenze e José Braga dell’Université de Toulouse, si basa sull’analisi di tre importanti reperti: una mascella e due mandibole ritrovate rispettivamente in Sudafrica e in Etiopia.

Università di Firenze: fossili infantili di 2 milioni di anni fa offrono nuove prospettive sull’evoluzione umana

Questi resti, appartenenti a bambini molto piccoli, rappresentano una novità di grande rilievo per la paleoantropologia. Finora, infatti, la quasi totalità dei fossili delle specie più antiche del genere Homo – in particolare Homo habilis e Homo erectus – riguardava individui adulti. I reperti di neonati e bambini erano praticamente assenti, limitando fortemente la possibilità di comprendere le modalità di crescita e sviluppo delle prime forme umane. Secondo quanto comunicato dall’Ateneo fiorentino, questi fossili offrono finalmente un punto di vista diretto sui ritmi evolutivi dell’infanzia in epoche così remote.

Crescita accelerata, cervello più piccolo

Uno degli elementi chiave dello studio è l’analisi della struttura interna dello smalto dentario di uno dei tre reperti, una porzione di mascella. Grazie alle tecnologie dell’European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble, è stato possibile stabilire con precisione l’età biologica alla morte dell’individuo: circa sei mesi. Questo dato, unito a un confronto morfologico tra le mandibole, suggerisce che i neonati del genere Homo in quel periodo avessero tempi di sviluppo ancora relativamente rapidi, molto più vicini a quelli delle scimmie antropomorfe che a quelli umani odierni.

Per Moggi Cecchi, questa scoperta implica che l’acquisizione di un periodo infantile prolungato – oggi considerato una caratteristica distintiva della nostra specie, in parte legato alla crescita del cervello – sia un fenomeno emerso in una fase più recente dell’evoluzione. I neonati di 2 milioni di anni fa, pur appartenendo al nostro stesso genere, non avevano ancora quel lungo e lento percorso di maturazione che caratterizza l’Homo sapiens moderno.

Differenze già visibili tra le specie

Un ulteriore elemento di interesse riguarda le differenze morfologiche riscontrate tra i fossili etiopi e quelli sudafricani. La mandibola rinvenuta in Etiopia è stata attribuita a Homo habilis, mentre i reperti provenienti dal Sudafrica sono stati assegnati a una specie affine a Homo erectus. Le analisi dentarie e craniofacciali indicano che la diversità tassonomica tra le due specie era già riconoscibile nell’infanzia. Questo dimostra che l’evoluzione del genere Homo non solo è avvenuta su percorsi paralleli ma ha lasciato segni anatomici distintivi fin dai primi mesi di vita dei suoi esponenti.

Implicazioni per la paleoantropologia

Lo studio rappresenta una svolta nello studio dell’infanzia evolutiva, un ambito finora rimasto in gran parte inesplorato per carenza di dati fossili. Comprendere come crescevano i cuccioli del genere Homo consente di gettare luce su aspetti cruciali della nostra storia biologica, dall’evoluzione del cervello ai cambiamenti nel comportamento sociale. La ricerca sottolinea ancora una volta il ruolo fondamentale delle tecnologie di imaging avanzato e della collaborazione internazionale nella ricostruzione delle tappe più antiche della storia umana.
Tags: scienzi
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