Sempre più giovani italiani lasciano il Paese dopo il diploma: cosa cercano, perché partono e che cosa rischia l’Italia.
Un bivio chiamato futuro
Studiare in Italia o fare le valigie? Per la generazione Z, non è più solo una questione accademica. È una decisione radicale, spesso definitiva, che tocca identità, ambizioni e prospettive di vita. Oltre 93.000 giovani italiani tra i 18 e i 39 anni hanno lasciato il Paese nel 2024. A partire sono soprattutto laureati e diplomati eccellenti, spesso già formati dal nostro sistema universitario.
Il fenomeno ha un nome preciso: “fuga dei cervelli”, ma oggi somiglia sempre più a una fuga di sistema. La domanda, infatti, non è più “dove andare a studiare?”, ma *“perché restare?”*
I numeri reali: chi parte e dove va
Nel 2023 hanno lasciato l’Italia circa 50.900 giovani laureati tra i 25 e i 34 anni, con un aumento del 45% rispetto al 2012. Tra il 2012 e il 2022 sono emigrati oltre 120.000 laureati in cerca di migliori opportunità.
Nel 2024 l’espatrio ha toccato quota 191.000 italiani, un terzo dei quali con un titolo universitario. Le destinazioni preferite? Germania, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Canada e sempre più anche i Paesi scandinavi.
“Qui non c’è futuro”: cosa cercano all’estero
Secondo un’indagine Ipsos, il 35% degli under 30 italiani è pronto a trasferirsi all’estero “a tempo indeterminato”. Tra i 18-24enni, la percentuale sale al 41%.
- Salari migliori
- Meritocrazia
- Maggiore equilibrio vita-lavoro
- Meno burocrazia
*“Non voglio fare uno stage a 300 euro per tre anni sperando che qualcuno si accorga di me. All’estero entri nel sistema, qui devi elemosinare un’occasione”*.
Università italiane: eccellenze che non bastano
L’Italia vanta ancora atenei di eccellenza, ma la qualità accademica non compensa le carenze sistemiche:
- Offerta formativa poco internazionale
- Limitato supporto psicologico
- Scarsa connessione col mondo del lavoro
Il problema degli affitti pesa fortemente: un posto letto a Milano o Bologna può arrivare a 600 euro al mese, contro una media di 300–350 euro in città come Berlino o Lisbona.
Nuove frontiere: i corsi all’estero scelti dalla Gen Z
Oggi molti diplomati italiani si iscrivono direttamente a università straniere. Le aree più gettonate:
- STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica)
- Green economy e transizione ecologica
- Psicologia, neuroscienze, data science
Nei Paesi anglosassoni e del Nord Europa si trovano corsi in inglese, didattica esperienziale e alta occupabilità post-laurea. Le rette, in molti casi, sono comparabili a quelle italiane o sostenute da borse di studio.
I freni dell’Italia: burocrazia e scoraggiamento
Dal 2025, nuove regole rendono più difficile anche l’ingresso di studenti extra-UE. Il paradosso è evidente: chi parte e chi vorrebbe arrivare si scontra con la stessa barriera: una burocrazia ostile, lenta e disorganizzata.
Il prezzo della fuga: un danno collettivo
La perdita di capitale umano potrebbe abbattere l’output potenziale dell’Italia di oltre l’11% entro il 2040. Un danno strutturale per il Paese.
“Formiamo talenti con investimenti pubblici, poi li regaliamo ad altri Paesi più competitivi. È come costruire Ferrari e lasciarle ai concessionari stranieri”.
Che fare?
Servono politiche strutturali, non misure-tampone. Le priorità:
- Incentivi fiscali efficaci per il rientro dei talenti
- Investimenti su campus pubblici e alloggi accessibili
- Orientamento professionale e stage retribuiti già alle superiori
- Burocrazia digitale e veloce, soprattutto per studenti e lavoratori qualificati