Il professor Signorelli (foto) punta su metodo, partecipazione e visione internazionale per rilanciare l’Ateneo con rigore, creatività diffusa e risorse ben spese.
Il professor Marcello Signorelli, candidato a rettore dell’Università degli Studi di Perugia, propone una svolta radicale attraverso una originale e rigorosa selezione dei Delegati, la focalizzazione sulla massimizzazione delle risorse, una elevata autonomia ai Dipartimenti esaltando la creatività diffusa e la varietà; tutto questo per la massima valorizzazione di docenti abilitati e giovani ricercatori nonché del personale tecnico e amministrativo, gli urgenti interventi sulle strutture e la necessaria semplificazione, nonché una visione internazionale per un’Università che torni ad essere una vera protagonista sulle dimensioni regionale, nazionale, europea, globale.
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Concretezza, metodo partecipato e razionalità proiettata su sei anni. Sono queste le tre parole-chiave con cui il professor Marcello Signorelli, docente di Politica Economica e candidato alla carica di Rettore dell’Università degli Studi di Perugia, sintetizza la sua visione per il futuro dell’Ateneo.
Una proposta ambiziosa ma lucidamente ancorata alla realtà, in cui emerge con forza la volontà di costruire una comunità universitaria aperta, plurale, capace di valorizzare le competenze di tutte le sue componenti: non solo i professori ordinari, ma i tanti professori associati abilitati, gli RTD-A, il personale tecnico-amministrativo e, ovviamente, gli studenti e le loro rappresentanze. Il suo approccio rifiuta ogni logica verticistica: “Per ottenere risultati concreti, il Rettore deve svolgere un’azione meno di quantità e più di qualità, soprattutto attraverso una selezionare estremamente rigorosa dei Delegati che debbono anche essere in grado di agire con autonomia e responsabilità favorendo anche la massimizzazione delle risorse che arrivano all’Università di Perugia”.
In questa intervista Signorelli illustra le sue priorità: dagli interventi sulle strutture alla semplificazione delle procedure, dal potenziamento della ricerca di base e dell’innovazione didattica, dal rilancio delle sedi decentrate al rafforzamento dell’internazionalizzazione, fino alla cruciale necessità di conquistare molte più risorse e spenderle meglio. Con un principio guida: “Il futuro si costruisce solo se ciascuno è dove può dare di più e si sente parte di un progetto collettivo”.
Professore, qual è l’idea di Università che intende realizzare nei prossimi sei anni?
“Voglio costruire un’Università autorevole, concreta e aperta. L’Università deve essere un motore di sviluppo culturale, sociale ed economico per il territorio, ma anche un soggetto in grado di dialogare con il mondo. Per questo serve una governance funzionale, centrata su un metodo partecipativo che valorizzi davvero le competenze interne. I Dipartimenti devono tornare al centro del sistema: lì si produce ricerca, si innova nella didattica, si dialoga con la società. E proprio nei Dipartimenti va riportata l’autonomia operativa, anche attraverso lo strumento della Delega di firma ai Direttori di Dipartimento che possono così procedere rapidamente anche con propri Decreti”.
Il ruolo dei delegati sarà cruciale nella sua impostazione. Come intende selezionarli?
“Innanzitutto in fase elettorale ho scelto di non promettere Deleghe a nessuno, nemmeno negli incontri bilaterali informali; questo perché il contesto è troppo complesso per non selezionare al meglio del possibile. Infatti, nel mio programma indico con dettagli che dopo l’eventuale elezione raccoglierò manifestazioni di interesse su ciascuna delega e organizzerò incontri bilaterali per scegliere chi mi darà i più robusti elementi in termini di competenze, capacità di azione e la motivazione vera per portare risultati al massimo del possibile. Voglio una squadra di Delegati e sub-Delegati autonoma, responsabile, motivata, che lavori con fiducia e trasparenza. Ogni Delegato dovrà portare risultati di qualità e quantità, e rendere conto dopo sei mesi dei risultati raggiunti per valutare nel campo l’efficacia dell’azione”.
In Ateneo ci sono molti Professori Associati che attendono di poter completare la loro carriera. Come pensa di valorizzarli?
“Servono risorse al massimo del possibile sul Fondo di Finanziamento Ordinario. Nel mio programma descrivo un metodo efficacie, anche supportato da un gruppo di lavoro “tecnico-scientifico. Inoltre, il rispetto del limite dell’80% e la gestione strategica di bilancio deve avvalersi di un secondo Delegato che aiuti anche a non eccedere sulle riserve accantonate pur rimanendo su un sentiero di saggia sostenibilità. Senza una gestione delle risorse molto più accurata e scientifica, le promesse di completamento di carriera per i tanti professori associati abilitati ordinari rischiano di rimanere largamente disattese o comunque di avere tempi troppo lunghi e non accettabili”.
Che ruolo avranno i giovani ricercatori nel suo programma?
“I reclutamenti sono fondamentali, ma anche essi dipenderanno dalla capacità di far arrivare risorse all’Università di Perugia. Ai nostri giovani RTDA, molti dei quali reclutati grazie ai fondi PNRR, vanno date certezze di opportunità di carriera come RTT in tempi rapidi. Non possiamo più permetterci di perdere energie formate all’interno per mancanza di programmazione e risorse.
Approfondimenti specifici importanti sono necessari anche per gli assegnisti di ricerca e i dottori di ricerca; in questi casi sarebbe un inganno promettere a tutti prospettive concrete ed effettive di carriera accademica a causa del vincolo sulle risorse (la bolla di aumento di risorse del PNRR sta finendo e il definanziamento è già una realtà drammatica non facile da contrastare)".
Il tema dell’inclusione e della disabilità è cruciale. Cosa prevede il suo programma in merito?
“La qualità di un’università si misura anche da quanto è in grado di includere chi vive condizioni di disabilità o fragilità. L’Università di Perugia ha già fatto molto, e va riconosciuto. Ma si può e si deve fare ancora di più. Parliamo di disabilità motorie, certo, ma anche cognitive, sensoriali e legate ai disturbi dell’apprendimento. L’inclusione non è solo abbattimento delle barriere architettoniche, è accessibilità didattica, supporto psicologico, accompagnamento amministrativo, comunicazione accessibile. È un messaggio di civiltà, e un investimento nella coesione interna”.
Gli studenti sono il cuore dell’Ateneo. Come li coinvolgerà?
“La qualità della vita studentesca è una priorità. Le rappresentanze studentesche devono essere sostenute con maggiori fondi e spazi per iniziative culturali e di socializzazione. Dobbiamo combattere il rischio isolamento, acuito dalla pandemia, e offrire ai nostri 30.000 studenti migliori e maggiori occasioni di relazione e partecipazione. Il diritto allo studio va rafforzato, in rapporto virtuoso con la Regione e le istituzioni locali: no tax area e oltre, bonus trasporti esteso alle FFSS, emergenza alloggi affrontata con concretezza. Serve anche un ulteriore importante sviluppo dei servizi agli studenti, che devono anche essere più accessibili, veloci, digitali. Un’Università che concretizza meglio il diritto allo studio e che pone gli studenti al centro funziona meglio per tutti”.
E per il personale tecnico-amministrativo, da anni penalizzato anche dal punto di vista retributivo?
“Va ricordato con chiarezza: le retribuzioni del personale tecnico e amministrativo universitario sono le più basse del comparto pubblico. È una situazione ingiusta e inaccettabile. A livello nazionale va denunciata con forza ma è difficile aspettarsi sviluppi importanti; ma a livello locale possiamo e dobbiamo fare di più. Prevedo un piano di valorizzazione con tempi definiti, con progressioni di carriera periodiche, più formazione, attenzione al benessere organizzativo e agli interventi sul welfare, importando nella nostra Università le migliori pratiche già presenti in altri Atenei italiani. Molti colleghi svolgono funzioni superiori al loro livello di inquadramento: è tempo che questo venga riconosciuto, anche economicamente”.
Come intende affrontare la complessa sfida del Dipartimento di Medicina e Chirurgia?
“La Medicina è una colonna portante dell’Università di Perugia, ma anche una realtà straordinariamente complessa. Va governata con autorevolezza, realismo, competenza e ascolto. Prevedo una selezione estremamente rigorosa dei Delegati su questo fronte, da effettuarsi dopo manifestazioni di interesse e incontri individuali subito dopo l’esito elettorale. Bisogna essere presenti nei tavoli istituzionali – Regione, Ministero, aziende sanitarie – con autorevolezza, ma anche con i dettagli tecnici ben chiari, preparando bene prima tali incontri. Il rilancio delle Scuole di Specializzazione è urgente e servono anche più professori ordinari e nuovi reclutamenti di ricercatori, senza logiche di potere o guerre per bande. Le priorità debbono emergere dai Dipartimenti come proposte ma il Rettore deve prendersi la responsabilità motivata di aggiungere settori consapevole che l’equilibrio di priorità dipartimentale raramente è il meglio per l’Università e per Medicina. Occorre inoltre lavorare sul rilancio della sede di Terni e su una sua progettualità autonoma. Il mio obiettivo è costruire un modello che coniughi eccellenza scientifica, innovazione formativa, terza missione e attività clinica di qualità, con un maggiore impatto concreto sul territorio e a livello internazionale”.
Semplificazione e burocrazia: quali azioni concrete propone per rendere l’Ateneo più efficiente?
“Tutti invocano la semplificazione da anni, ma poi spesso poco cambia o talvolta in peggio. Io intendo attuare una reale semplificazione delle procedure, con un metodo funzionale che include la massima qualità dei Delegati. Innanzitutto, prevedo la delega di firma ai Direttori di Dipartimento per riducendo il collo di bottiglia centrale. Poi bisogna intervenire sulle prassi organizzative: servono momenti strutturati di confronto tra uffici di Atenei diversi, per apprendere le migliori pratiche da chi ha già ottimizzato i processi. Semplificazione è anche qualità dell’informazione, chiarezza nei ruoli, uso intelligente e diffuso del digitale”.
Sul piano delle risorse ha denunciato più volte una situazione critica. Come pensa di affrontarla?
“L’Ateneo non ha indebitamento e un bilancio con avanzi e riserve fin troppo positivi. Tuttavia, il quadro nazionale è molto preoccupante. Dopo il taglio dello scorso anno, la dinamica reale dell’FFO continua a peggiorare. Ma proprio per questo bisogna cambiare strategia: serve un gruppo di lavoro stabile di analisi tecnico-scientifica che aiuti la governance a massimizzare le risorse ottenibili, e servono delegati specifici – su Roma, Bruxelles, la Regione – capaci di intercettare bandi e fondi fuori FFO. Va migliorata anche la nostra capacità di spesa, a partire da quella della riorganizzazione della Ripartizione tecnica che va potenziata con reclutamenti di ingegneri ben incentivati a rimanere (anche il regolamento sugli incentivi va modificato). Senza un metodo efficace e una riforma organizzativa seria, le risorse non bastano mai oppure non vengono ben usate nei tempi e nella qualità dei risultati”.
Ha parlato spesso del concetto di “creatività diffusa”. Cosa significa concretamente?
“Significa valorizzare ogni energia positiva all’interno dell’Ateneo. Penso ai singoli ricercatori e gruppi di ricerca nonché al personale tecnico, amministrativo, bibliotecario e CEL: ciascuno, se ascoltato, valorizzato e responsabilizzato, può dare un contributo ancora maggiore sulle mission dell’Università. È un cambio di mentalità: l’Ateneo deve essere vissuto come una casa comune di creatività, da curare e sviluppare giorno per giorno, non una macchina burocratica bloccante e disincentivante”.
Come intende valorizzare la divulgazione scientifica e la terza missione?
“La terza missione è una leva strategica per far beneficiare e percepire all’esterno il valore enorme del nostro lavoro in Ateneo. Includo in essa la divulgazione scientifica, i rapporti con il mondo delle imprese e delle professioni, la co-progettazione con enti pubblici e privati. Prevedo un fondo ad hoc per sostenere le attività di comunicazione dei risultati della ricerca, in italiano ma anche in inglese e altre lingue. I nostri ricercatori devono sentirsi supportati nel rendere comprensibile e accessibile il proprio sapere, anche fuori dai circuiti accademici”.
Qual è la sua visione sull’internazionalizzazione?
“L’Università è già oggi una realtà globale. Ma per esserlo davvero dobbiamo fare di più: aumentare i corsi in inglese, stipulare nuovi doppi titoli e titoli congiunti, partecipare come promotori ai progetti europei, attrarre studenti e visiting da tutto il mondo. Dobbiamo anche comunicare meglio: rendere visibili all’esterno, in più lingue, le nostre eccellenze scientifiche e didattiche. L’internazionalizzazione non è solo mobilità: è collaborazione, reputazione, accesso a risorse aggiuntive, ruolo attivo nei grandi temi globali (geopolitica, complessità, sostenibilità, intelligenza artificiale)”.
Le università telematiche private stanno guadagnando terreno. Come risponde l’Università pubblica?
“Serve una risposta su due livelli. Il primo è politico-istituzionale: oggi le telematiche godono di vantaggi normativi che configurano una concorrenza sleale. Questo deve essere denunciato con forza in sede ministeriale e non solo, con una CRUI più efficace. Il secondo è interno: dobbiamo innovare nella didattica senza snaturare la qualità accademica. Non dobbiamo rincorrere modelli al ribasso, ma costruire offerte formative competitive e innovative dove ha senso. La battaglia è anche culturale e comunicativa: servono investimenti in comunicazione per meglio far conoscere le eccellenze dell’Università pubblica, che ancora oggi produce la quasi totalità della ricerca accademica italiana”.
Le sedi decentrate, come Terni, Narni, Assisi: quale futuro?
“Le sedi decentrate non sono periferie: sono presidi strategici dell’Ateneo sul territorio. Ma vanno rafforzate, riorganizzate, rilanciate. A Terni va ben valutato e, eventualmente, concretizzato il progetto del Dipartimento multidisciplinare, e va finalmente riqualificata subito la sede di Pentima. Ogni sede deve avere un fondo annuale per la mobilità sostenibile. E serve più autonomia nella gestione delle attività didattiche e di ricerca locali, sempre nel quadro di una governance generale condivisa”.
In sintesi, quale sarà il tratto distintivo della sua azione da Rettore?
“La concretezza. Non intesa come pragmatismo senz’anima, ma come capacità di trasformare le idee in risultati effettivi e di qualità. E poi la partecipazione: senza coinvolgimento, le riforme restano sulla carta. Il mio rettorato sarà un rettorato di ascolto, di metodo, di selezione rigorosa delle competenze, ma anche di visione ampia, capace di guardare all’Europa e al mondo. Possiamo affrontare sfide enormi – dalle università private telematiche alla transizione digitale, dall’inclusione al diritto allo studio – e vincerle, se lavoriamo insieme”.
Un progetto collettivo
“Il mio progetto per l’Università di Perugia è un progetto collettivo”, conclude Signorelli. “Non esiste innovazione senza coinvolgimento, né reputazione senza risultati concreti e di qualità. Abbiamo un potenziale straordinario: serve metodo, rigore, e la capacità di valorizzare chi ogni giorno rende viva e creativa questa comunità. Se sarò Rettore, il mio primo atto sarà selezionare una Pro-Rettrice (spero) e Delegati di qualità elevatissima che abbiano anche alcune settimane di affiancamento con quelli uscenti, già prima di novembre: per costruire insieme un futuro concreto, giusto, internazionale, per il bene dell’Università di Perugia e quindi di tutta la comunità (regionale, nazionale, europea, globale)”.
Per approfondire: sito di candidatura www.marcellosignorelli.it