Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha lanciato un appello pubblico durissimo all’indomani della decisione del governo Meloni di modificare la ripartizione dell’8x1000, in particolare della quota a gestione statale. “Esprimo delusione e rammarico”, ha dichiarato l’arcivescovo di Bologna, “perché una scelta unilaterale finisce per colpire lo spirito originario di collaborazione tra lo Stato e le confessioni religiose”. Secondo Zuppi, non si tratta solo di una questione formale, ma di una lesione profonda dell’equilibrio concordatario, che tradizionalmente ha disciplinato la distribuzione di fondi destinati non solo al culto, ma soprattutto a iniziative caritative, sociali e culturali su tutto il territorio nazionale.
Zuppi e la frattura sull’8x1000: "Scelta unilaterale che danneggia la Chiesa"
La CEI, così come le altre confessioni religiose che hanno stipulato intese con lo Stato, gestisce la propria quota dell’8x1000 per sostenere attività di grande rilevanza sociale: dai fondi alle Caritas diocesane per l’assistenza alimentare e sanitaria, fino al finanziamento di interventi nelle zone colpite da calamità naturali o in contesti internazionali emergenziali. In questo contesto, l’intervento del governo – che ha inserito una nuova finalità nella quota statale, destinandola al finanziamento di comunità per il recupero dalle dipendenze – è stato percepito dalla Chiesa come una forzatura istituzionale che rompe un equilibrio storico.
I numeri dell’8x1000: come funziona la distribuzione dei fondi
Ogni anno, i contribuenti italiani possono scegliere a chi destinare l’8x1000 della propria imposta sul reddito: alla Chiesa cattolica, allo Stato o a una delle undici confessioni religiose con cui è stata stipulata un’intesa. L’ultima ripartizione disponibile, relativa alle dichiarazioni del 2021, mostra che circa l’80% dei contribuenti che effettuano una scelta indirizza l’8x1000 alla Chiesa cattolica, per un totale di oltre 1 miliardo di euro l’anno.
La quota destinata allo Stato è molto inferiore, intorno ai 150 milioni, ma ha un valore simbolico e strategico rilevante. Proprio per questa ragione, la possibilità introdotta nel 2019 (dal secondo governo Conte) di indicare nello specifico l’ambito di intervento tra i cinque previsti – fame nel mondo, calamità naturali, edilizia scolastica, assistenza ai rifugiati e beni culturali – era stata accolta con favore. L’intervento del governo Meloni, con l’introduzione di una sesta finalità (le comunità terapeutiche per dipendenze patologiche), ha alterato questo schema, riaprendo il dibattito su quale debba essere il ruolo dello Stato nella gestione delle risorse dell’8x1000.
Le critiche politiche e il rischio di uno scontro istituzionale
Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Matteo Renzi ha definito la mossa dell’esecutivo “una scelta arrogante”, che rischia di ledere la libertà religiosa e il principio di sussidiarietà. Enrico Borghi, senatore di Italia Viva, ha parlato di “dirigismo paternalistico”, accusando il governo di voler rimettere mano a un sistema che, con tutte le sue imperfezioni, garantiva una gestione plurale e condivisa del contributo fiscale.
In effetti, il meccanismo dell’8x1000 ha rappresentato negli anni un esempio di collaborazione virtuosa tra Stato e società civile. La quota gestita dalla Chiesa cattolica ha consentito, ad esempio, la costruzione di scuole in zone terremotate, il mantenimento di mense per poveri e senzatetto, la promozione di progetti culturali in aree marginali, e persino il finanziamento di ospedali in Africa e America Latina. Ogni modifica unilaterale – sottolineano gli osservatori più attenti – rischia di minare questa struttura complessa e multilivello.
Il nodo del gettito e il rischio di un effetto boomerang
Al centro della polemica c’è anche la paura, da parte della CEI, che il cambiamento possa generare un disorientamento tra i contribuenti, con una possibile riduzione del gettito complessivo. Se la fiducia nel sistema si incrina, il numero di firme potrebbe calare. Va ricordato che oltre il 55% dei contribuenti non esprime una preferenza: in questi casi la quota viene redistribuita in proporzione alle scelte espresse. Per questo motivo, una diminuzione di adesioni alla Chiesa cattolica o l’aumento dell’astensione potrebbero determinare una redistribuzione a favore dello Stato – o peggio ancora, un calo complessivo del gettito per tutte le confessioni religiose.
Il cardinale Zuppi ha auspicato un ritorno al dialogo istituzionale, chiedendo che qualsiasi modifica venga affrontata all’interno di un confronto rispettoso tra le parti. Ha concluso il suo intervento ricordando che “la carità non ha colore politico, e non può essere gestita con logiche emergenziali o propagandistiche”. Un messaggio rivolto chiaramente a Palazzo Chigi, ma anche alla società italiana nel suo complesso.