Il 25 aprile e la rimozione femminile: la libertà che non ricorda le donne è una libertà dimezzata
- di: Cristina Volpe Rinonapoli

Ci siamo abituati a un 25 aprile celebrato tra retorica, bandiere, cortei e qualche puntuale polemica d’occasione. Ma c’è un’assenza costante, che pesa più di tante presenze: quella delle donne. Il paradosso è evidente, e bruciante. Mentre si celebra la Liberazione dal nazifascismo, si perpetua una dimenticanza che ha radici profonde e che racconta più del nostro presente che del passato. Le donne non sono state comparse silenziose della Resistenza, ma protagoniste sommerse. Eppure nei libri di scuola, nei discorsi istituzionali, nei programmi ufficiali, la loro presenza resta opaca, secondaria, talvolta rimossa.
Il 25 aprile e la rimozione femminile: la libertà che non ricorda le donne è una libertà dimezzata
Basta sfogliare uno dei testi più documentati sulla questione, Donne e Resistenza di Anna Bravo e Anna Maria Bruzzone, per scoprire che furono più di 35.000 le donne attive nei Gruppi di Difesa della Donna e che almeno 2.750 furono arrestate, torturate, deportate. Ma nomi come Carla Capponi, Nilde Iotti, Gisella Floreanini, Irma Bandiera, Tina Anselmi, Teresa Noce faticano a entrare nel pantheon della memoria condivisa. Sono note agli studiosi, agli appassionati, non alla coscienza collettiva. È una rimozione strutturale, che riguarda non solo la storia della Resistenza, ma la narrazione pubblica della nostra democrazia.
Un antifascismo maschile e militare
Il problema è che l’antifascismo italiano si è raccontato con il linguaggio del combattimento armato, con l’estetica del mitra e del bosco. Un’estetica maschile, virile, lineare. Le donne, con la loro resistenza fatta di coraggio domestico, di staffette, di accoglienza, di intelligenza logistica e relazionale, non rientrano in questo racconto. Sono troppo complesse, troppo periferiche, troppo difficili da incasellare. E così, anche nell’antifascismo, si è perpetuata quella gerarchia simbolica che la Repubblica avrebbe dovuto superare. Perché la libertà che dimentica chi ha combattuto per renderla possibile è una libertà che si indebolisce.
Rendere giustizia, senza ideologia
Non si tratta di aggiungere un paragrafo femminile alla narrazione resistenziale. Si tratta di riscriverla tenendo conto della sua verità intera. La storica Marina Addis Saba, che ha studiato per anni la presenza femminile nei CLN e nei comitati di base, scriveva: “Alle donne fu riconosciuto il diritto al voto, ma non il diritto alla memoria”. È tempo di colmare questo divario, senza ideologia, senza retorica, ma con la serietà di chi sa che la democrazia si costruisce anche sul riconoscimento delle voci taciute.
Chi ricorda davvero il 25 aprile, oggi, dovrebbe farlo con un libro in mano. Con i nomi, i volti, le biografie delle donne che hanno reso possibile la nascita di una Repubblica democratica. Senza questo atto di verità, la celebrazione della Liberazione rischia di diventare un rito vuoto, un’abitudine istituzionale. E la libertà, ancora una volta, sarà raccontata al maschile.