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Macron resta e l'Europa sorride, ma la Francia resta spaccata

- di: Diego Minuti
 
Macron resta e l'Europa sorride, ma la Francia resta spaccata
L'Europa - quella che è al comando politico dell'Ue - tira un sospiro di sollievo e allontana i timori che si sarebbero materializzati con una vittoria di Marine Le Pen nella corsa verso l'Eliseo. Ed invece i francesi, regalando a Emmanuel Macron oltre il 58 per cento dei voti, lo hanno confermato presidente della Repubblica francese per i prossimi cinque anni. Una vittoria che era abbastanza probabile, ma non scontata e il corposo risultato numerico conseguito dalla guida del Rassemblement National si pone come il vero dato su cui riflettere, a urne chiuse e scrutino concluso. Le elezioni presidenziali, al di là di numeri e percentuali, restituiscono una Francia spaccata verticalmente, non tanto tra i due schieramenti, quanto come corpo sociale. Perché la vittoria di Macron non ha certo cancellato i problemi di un Paese che negli ultimi anni si è dimostrato profondamente lacerato, tra rivendicazioni sociali, sommovimenti del mondo del lavoro, eccessiva invasività della grande finanza, tacendo delle ferite di una composizione etnica che è sempre pronta a mostrare le sue distorsioni.

Ma ora per Macron, con la riconferma, cominciano le vere sfide, quelle che in un certo senso ha sino ad ora evitato, pencolando tra scelte forti in economia (ma raramente comprese e condivise dal suo popolo) e la necessità di riaffermare un ruolo internazionale che la Francia ha visto progressivamente appannarsi. Ma il vero vulnus nel tessuto della Francia è legato alla rabbia di vasti segmenti della popolazione, quelli che si sentono abbandonati e che, per questo, sono più permeabili alle forti sollecitazioni che vengono da chi ha tutto l'interesse ad attizzare il fuoco della protesta. Una cosa che in Francia, paradossalmente, è trasversale perché interessa le sacche di emarginazione, come sono i giovani della banlieu (le irrequiete periferie, abitate soprattutto da immigrati, a bassa scolarizzazione e con un tasso di occupazione nettamente inferiore alla media nazionale), ma anche quei lavoratori che non ritengono i loro salari proporzionati al tempo speso. 

Non è certo sorprendente  che la protesta in Francia abbia vestito i panni dei casseurs (centinaia di ragazzi, spesso d'origine africana, che sciamano per le strade cogliendo anche solo un pretesto per scatenarsi e distruggere quello che incontrano), ma anche quelli dei 'gilet gialli', un miscuglio di 'populismo  anarchico', anch'esso concretizzatosi in proteste, servite solo come pretesto per portare le violenze nel cuore economico, politico ed anche chic delle metropoli francesi. Un movimento d'incerta genesi, ma che ha fatto proseliti, ammiratori e sostenitori anche in Italia, non solo a livello di folkloristiche formazioni pseudo-politiche, ma anche  di partiti di governo.  Come i Cinque Stelle andati sino in Francia, con una delegazione al massimo livello, per ossequiare l'ala più violenta dei 'gilet gialli', per poi ieri, appena ufficiale la vittoria di Macron, affrettarsi a tessere le lodi del presidente rieletto.  Ma per un partito che, sino  a poche ore fa, non si era schierato tra Macron e Le Pen, è solo la conferma di una indeterminatezza delle sue radici ideologiche, sempre che ce ne siano.  Quelli che avrebbero dovuto essere i momenti della riflessione stanno diventando in Francia l'innesco per nuove tensioni, perché quelli che non si riconoscono in Macron, ma neanche in Le Pen, hanno fatto subito la loro apparizione provocando incidenti, anche gravi. Come a dire che, parafrasando la scritta su uno striscione subito issato, quel che le urne non hanno dato, vogliono riprenderselo nelle piazze. Non una minaccia, ma un'anticipazione di quello che la Francia potrebbe riscoprire di essere, finita la sbornia di dati, numeri, percentuali e festeggiamenti.

Ma c'è un altro elemento di queste elezioni che dovrebbe essere per Macron (ma anche per Le Pen) molto più che un campanello d'allarme: l'astensionismo, che può essere conseguenza di diverse motivazioni, ma che di fatto ha privato un terzo del Paese dell'interesse a esprimere, con il voto, il suo pensiero. C'è quindi una Francia parcellizzata tra quelli che, scegliendo Macron, hanno voluto mantenere intatto il quadro politico ed economico; tra altri che, votando Le Pen, volevano ribaltare tutto, compresi i forti legami con  l'Europa; tra chi, infine, non esprimendo una preferenza, ha notificato una ingiunzione di sfratto per una classe politica (intera) ritenuta non capace di intercettare e tradurre le istanze della gente.     Ma per l'Europa questo ha una importanza relativa, perché era fondamentale che Macron restasse all'Eliseo per garantire che l'Ue potesse avere continuità nella sua azione attuale, magari scansando il potenziale pericolo che, se fosse arrivata alla presidenza, Marine Le Pen non riuscisse a cancellare i vecchi innamoramenti per la Russia putiniana, prodiga - e non solo d'esempi - per lei e il sui partito. Con Macron confermato presidente, l'Unione europea (i messaggi di congratulazioni sono subito fioccati, compreso quello del nostro presidente del consiglio) potrà tornare nella sua azione, anche se spesso non se ne capiscono bene le finalità. Una considerazione finale la impone anche il fatto che le urne francesi hanno confermato che tutti i maggiori Paesi europei (ad eccezione della Germania, un vero e proprio unicum politico) sono spaccati tra destra e sinistra, in un gioco di perenni equilibri che spesso sfuggono alla comprensione della gente. 
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