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Mia madre ha l’Alzheimer, io le scrivo e lei sorride ancora

- di: Marta Giannoni
 
Mia madre ha l’Alzheimer, io le scrivo e lei sorride ancora
Un figlio racconta con ironia e tenerezza la quotidianità con la madre malata, trasformando il dolore in un messaggio di speranza virale. Il suo racconto diventa virale.
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Una malattia che ruba tutto, ma non l’amore
Danilo Masotti non è un personaggio televisivo, non è uno specialista di neuroscienze, né un influencer. È uno scrittore bolognese con una penna affilata e una sensibilità rara, che un giorno ha deciso di raccontare al mondo la sua convivenza con una delle malattie più spietate: l’Alzheimer. Non per pietismo. Non per commiserazione. Ma per restituire dignità a una relazione che, pur spezzata dalla malattia, continua a vivere di sorrisi, affetto, sguardi, complicità.
Mia madre ha l’Alzheimer, ma ride ancora con me”: così Masotti ha intitolato uno dei suoi post diventati virali sui social, in cui racconta le giornate trascorse accanto a una madre che spesso non sa chi lui sia, ma che continua ad amarlo con ogni fibra del corpo. “Scrivere è stato terapeutico. Condividere le nostre giornate, anche quelle più difficili, mi ha aiutato a trovare un senso e a sentirmi meno solo”, ha detto l’autore durante la presentazione del suo libro Memorie perdute.

Il diario che diventa fenomeno
Le pagine di Memorie perdute sono un mosaico di momenti delicati, teneri, assurdi, a volte comici. Danilo racconta di quando sua madre chiede otto volte la stessa cosa in un minuto, di quando si commuove vedendo una pubblicità degli anni ‘60, di quando si perde nel corridoio di casa. Ma anche di quando ride. E lo fa con gusto. Di quelle risate che sembrano venire da un tempo remoto, da una memoria emotiva che resiste ai crolli neurologici.
Il diario non è nato come libro. Era una raccolta di appunti, riflessioni, frasi segnate al volo su un taccuino o al cellulare, che poi Masotti ha deciso di trasformare in narrazione. “La malattia di mia madre ha devastato la nostra quotidianità, ma ci ha anche unito. Ho capito che l’identità non si esaurisce nella memoria: mia madre è ancora lì, anche se non si ricorda più chi sono”, racconta in un’intervista.
Il libro, pubblicato da Pendragon, ha avuto un successo inaspettato. Centinaia di persone hanno iniziato a scrivergli, a raccontare esperienze simili. Familiari, figli, nipoti. Caregiver stanchi e pieni di senso di colpa. Persone che si sono riconosciute in quel linguaggio sincero, asciutto, mai retorico. La pagina Facebook di Masotti è diventata una piccola comunità di empatia.

La rete che accoglie, quando funziona bene
Il successo del diario non è solo editoriale. È anche culturale. In un’Italia che invecchia rapidamente — secondo l’Istat, nel 2024 ci sono oltre 1,2 milioni di persone con diagnosi di Alzheimer o demenze correlate — il tema del caregiving familiare è esplosivo. La maggioranza degli assistiti vive in casa, accudita da familiari spesso senza formazione, supporto psicologico né aiuti strutturali.
“L’Alzheimer è una malattia che colpisce due volte: chi la subisce e chi se ne prende cura”, ha dichiarato il neurologo Fabrizio Tagliavini, direttore dell’Istituto Besta di Milano, durante un convegno della Federazione Alzheimer Italia nel marzo 2025.
Masotti, con il suo diario, non denuncia solo la malattia. Denuncia la solitudine. La vergogna. L’assenza di supporto. Ma lo fa con uno stile inedito: lieve, ironico, sorprendente. “A volte il racconto di una giornata fatta di piccole assurdità — come cercare le chiavi per un’ora e poi trovarle nel frigorifero — dice più di mille analisi tecniche”, scrive.

L’umorismo come antidoto al buio
Uno dei post più condivisi dell’autore recita: “Oggi mia madre mi ha chiesto se sono suo fratello. Ho risposto di sì. Mi ha detto: ‘Allora sei tu quello simpatico’. Mi ha fatto ridere. L’ho baciata. Mi ha chiesto: ‘Chi sei?’”. È in questa spirale emotiva che si gioca tutto il senso del diario: l’umorismo come unica difesa contro la dissoluzione della realtà.
Il tono lieve non significa superficialità. Al contrario: è una scelta narrativa consapevole, che smonta i tabù senza banalizzare. “Ridere è il mio modo per non scoppiare a piangere”, scrive. Ed è anche il motivo per cui il suo racconto ha superato i confini della cerchia ristretta degli “addetti ai lavori”.

Una lezione collettiva
Masotti è stato invitato in numerose scuole e università, dove ha raccontato l’esperienza del diario ai giovani. “Mi ha colpito quanto i ragazzi siano coinvolti. Molti hanno nonni malati, qualcuno anche un genitore. Il dolore, quando lo riconosciamo, ci rende meno soli”, ha detto a Radio Città del Capo.
Il libro è entrato anche in alcuni corsi di formazione per operatori sociosanitari, come caso studio sulla comunicazione nella relazione d’aiuto. “Non è solo una storia privata, ma una finestra potente su una realtà diffusa e invisibile”, spiega Maria Chiara Ranzi, psicologa e formatrice per Ansdipp (Associazione nazionale dei manager del sociale).

Una madre, una memoria, una comunità
La madre di Danilo oggi non ricorda più il nome di suo figlio. Non sa quanti anni ha. Non riconosce più la casa. Ma quando lui entra nella stanza, sorride. “Anche quando mia madre non sa chi sono, io so benissimo chi è lei”, ha scritto in uno dei passaggi più toccanti del libro.
È proprio questo scarto — tra ciò che si perde e ciò che resta — a rendere il diario così potente. Perché non è un addio. È una forma nuova di presenza.

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